L “erba” di oggi non è più quella dei nostri genitori. Perché è importante identificare l’abuso cronico di marijuana


Il problema

L’uso di cannabis sta progressivamente aumentando. Negli USA si stima che i consumatori siano circa 50 milioni, numeri che dimostrerebbero una riduzione della percezione del rischio da parte della popolazione. Nello stato di Washington, dove il consumo negli adulti è legale, una persona su cinque (20%) riferisce di aver consumato cannabis nell’ultimo anno. L’uso frequente ha fatto aumentare il rischio di dipendenza cronica (Cannabis Use Desorder, CUD); nella popolazione generale la prevalenza sarebbe 2 -5%, in giovani adulti 5 -14%, e in soggetti con problemi di salute mentale o correlati ad abuso di sostanze psicoattive 8 -23%. CUD è inoltre associato a patologie quali incidenti automobilistici, psicosi, problemi respiratori, esiti avversi della gravidanza; la patologia spesso non è diagnosticata e, di conseguenza, non adeguatamente trattata.

FDA (Food and Drug Administration) classifica la marijuana come droga, insieme ad eroina e a LSD, per il suo alto potenziale di abuso e perché frequentemente pericolosa, stanti gli attuali risultati della ricerca scientifica: ritenere che esista una quantità “sana” di una sostanza psicoattiva è difficile da sostenere. Alcune persone possono consumare marijuana senza danni, proprio come alcune possono bere senza danno, soprattutto se l’uso è sporadico, mentre altri corrono il rischio di conseguenze negative molto gravi. Vale la pena ricordare che, in previsione di una maggior diffusione d’uso con la legalizzazione, i prodotti in vendita sono frutto della selezione di ceppi a più elevato contenuto di compostiti psicoattivi: in pratica, “l’erba di oggi non è più quella dei nostri genitori”.

Cannabis Use Disorder (CUD)

A differenza delle sostanze sintetiche e dell’alcol, la cannabis è una droga più complessa. Il consumo o l’inalazione espone l’utente a centinaia di composti, inclusi cannabinoidi (ad es. THC e cannabidiolo) e non cannabinoidi (ad es. terpeni e flavonoidi), molti dei quali sono composti bioattivi.

L’uso prolungato può alterare i circuiti cerebrali; ad oggi i meccanismi fisiopatologici responsabili del danno non sono ancora perfettamente chiariti. In termini di dipendenza, il tetraidrocannabinolo (THC) è la principale molecola incriminata. Si stratta di una sostanza psicoattiva che viene prevalentemente inalata, rapidamente assorbita dai polmoni e successivamente distribuita a tutto l’organismo. Gli effetti sul cervello si manifestano rapidamente, e ciò contribuisce al suo potenziale piacere e abuso.

Il Manuale diagnostico e statistico sui disturbi mentali (DSM-5) ha definito i differenti quadri clinici (acuti e cronici) correlati all’uso di cannabis. Comprendono stati di intossicazione e astinenza; delirio, psicosi, ansia e insonnia. L’uso regolare cronico è definito Cannabis Use Disorder (CUD), ed ha le seguenti caratteristiche:

  • Cannabis è progressivamente assunta in quantità maggiori o per periodi più lunghi
  • C’è un desiderio persistente, oppure tentativi infruttuosi di ridurne o controllare l’uso
  • E’ dedicato molto tempo per ricercarla, utilizzarla o per riprendersi dai suoi effetti
  • C’è un forte desiderio o voglia di usare cannabis
  • L’uso ricorrente comporta il mancato rispetto di obblighi correlati a lavoro, scuola, casa
  • L’uso non si interrompe nonostante problemi sociali o interpersonali persistenti o ricorrenti, causati o esacerbati dagli effetti di cannabis, nonostante la consapevolezza di avere un problema fisico o psicologico persistente o ricorrente, causato o esacerbato dagli effetti di cannabis
  • L’uso si mantiene anche in situazioni in cui è fisicamente pericoloso
  • Importanti attività sociali, lavorative o ricreative sono abbandonate o ridotte
  • E presente “Tolleranza”: vi è necessità di aumentare la dose di cannabis per ottenere l’intossicazione o l’effetto desiderato; oppure l’effetto è notevolmente ridotto con l’uso continuato della stessa quantità
  • E’ presente “Astinenza”: si manifestano sintomi tipici (Irritabilità, stato d’ansia o di nervosismo, insonnia, appetito diminuito o perdita di peso, umore depresso) anche per periodi prolungati, associati a sintomi fisici (dolori addominali, tremori, sudorazione, febbre, brividi o cefalea) che possono mettere in crisi rapporti sociali o lavorativi; oppure cannabis è assunta per alleviare o evitare i sintomi di astinenza.

La gravità di CUD è classificata in Lieve, Moderata o Grave, a seconda che siano presenti 2 – 3, 4 – 5 o 6 e più dei criteri di cui sopra.

Quali complicanze sono associate all’uso di cannabis?

Chi soffre di CUD riferisce senso di minor soddisfazione per la vita e di successo rispetto alla popolazione generale. Gli effetti possono colpire i domini neuropsichiatrici, fisici e sociali cui conseguono dipendenza, sviluppo cerebrale alterato, deterioramento cognitivo, scarso risultato educativo, maggior probabilità di abbandono scolastico e, in adolescenza, QI più basso rispetto ai coetanei non consumatori.

A rischio è anche il sistema respiratorio, in quanto i sottoprodotti della combustione e il fumo possono provocare bronchite cronica. L’uso continuo può influenzare la fertilità, in ambo i sessi.

Il rischio non è limitato all’utilizzatore: numerosi studi sull’esposizione perinatale a cannabis rivelano che il bambino è a rischio di un’ampia gamma di disturbi cognitivi, tra cui intelligenza, attenzione, moderazione, coordinazione visivo-motoria, velocità di elaborazione, memoria visiva e trasferimento interemisferico di informazioni. Vi sono inoltre prove di un potenziale rischio di parto pretermine, basso peso alla nascita e natimortalità: effetti che non dovrebbero far considerare cannabis come sostanza innocua.

Che cosa fare?

Il trattamento di CUD è di tipo multidisciplinare; in prima linea è il medico di famiglia, in quanto più facilmente accessibile per interventi di prevenzione, ma anche perché a lui compete il follow up nel lungo termine.  E’ necessario educare i pazienti, in particolare quelli di età inferiore a 21 anni, a più alto rischio di deterioramento cognitivo a lungo termine, potenzialmente irreversibile. La donna in gravidanza deve essere informata dell’impatto sul feto, indipendentemente dal fatto che ne ammetta a o meno l’uso; agli adulti consumatori deve essere raccomandato di conservare cannabis in luogo chiuso e nascosto onde impedire l’intossicazione pediatrica.

Nonostante la natura più benigna rispetto agli effetti indotti da oppiacei, benzodiazepine e alcol, cannabis possiede potenziali effetti negativi sulla salute e sul funzionamento sociale e lavorativo. Con la diffusione della legalizzazione ci si attende un incremento degli effetti negativi; è pertanto necessario arrivare a distinguere tra uso e abuso, attraverso un’accurata anamnesi. Il dissuadere dal consumo deve essere supportato da un lavoro di squadra mirato a identificare e ad eliminare fattori favorenti. In tale attività

  • E’ importante mantenere un approccio non giudicante per arrivare a comprendere le ragioni dell’uso
  • Identificare l’uso in età pediatrica può indicare che si è di fronte a fattori di stress famigliare o scolastico. Per migliorare problemi comportamentali in entrambi gli ambienti, si sono dimostrati utili la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia familiare multidimensionale, da realizzare a scuola, a casa o in un ambulatorio
  • Il rilievo di disturbi mentali rende necessaria una valutazione psichiatrica: esiste una relazione longitudinale tra la riduzione del consumo di cannabis e il miglioramento dell’ansia, della depressione, della qualità del sonno.

In sintesi, è necessario un approccio di squadra interprofessionale nella gestione del disturbo da uso cronico di marijuana. Il team comprenderà medici, infermieri, farmacisti, assistenti sociali e professionisti della salute mentale, in modo che i differenti problemi siano affrontati in modo collaborativo e si possano garantire i migliori risultati possibili.

Come rilevare CUD a livello di Medicina di Base?

Dato il potenziale incremento del consumo di cannabis, è importante che il medico di famiglia identifichi la sindrome distinguendola da quadri clinici di altra eziologia e che, di conseguenza, programmi gli interventi più opportuni. Sono a disposizione test che permettono di precisare sia l’abuso che il suo grado di gravità; la loro somministrazione richiede tempo, per cui risultano spesso poco applicabili a livello di medicina di base (Cannabis Abuse Problems Identification Test- CUPIT; Cannabis Use Disorder Identification Test- CUDIT; CUDIT-Revised CUDIT–Short Form, Severity of Dependence Scale).

In un recente studio, Matson e collaboratori hanno voluto misurare la validità di Single-Item Screen–Cannabis (SIS-C), nell’identificare CUD a livello di cure primarie, confrontandolo con una misura standard di riferimento (Composite International Diagnostic Interview–Substance Abuse Module – CIDI- SAM). SIS-C si limita a chiedere informazioni sull’uso di cannabis nell’ultimo anno, con risposte da 0 a 4 (nessun uso-0, inferiore al mese-1, mensile-2, settimanale-3, giornaliero o quasi giornaliero-4), regolarmente registrate in cartella clinica.

La ricerca è stata condotta all’interno di un Sistema Sanitario integrato nello stato di Washington, dove l’uso di cannabis in adulti è legale.  L’indagine ha riguardato adulti che avevano effettuato lo screening di routine circa l’uso di cannabis, nel periodo gennaio –settembre 2019; da tale campione è stato selezionato in modo casuale un campione per un sondaggio riservato sull’uso di cannabis.  Il campionamento casuale è stato stratificato per frequenza di utilizzo nell’ultimo anno, razza ed etnia. I dati sono stati analizzati tra maggio 2021 e marzo 2022. Su 5000 pazienti adulti campionati, 1888 hanno risposto al sondaggio sulla cannabis (34%): di questi il 6,6% ha soddisfatto i criteri per CUD nell’ultimo anno.

Lo studio ha evidenziato che lo screening SIS-C (utilizzando come valore soglia per l’anno precedente una frequenza d’uso inferiore o maggiore al mese) ha una sensibilità dell’88% e una specificità dell’83% nel confermare la diagnosi di CUD, e che tale probabilità di conferma della diagnosi varia a seconda della prevalenza di CUD nella popolazione. Nello specifico:

  • prevalenza del 4% : probabilità compresa tra 12 e 26%. In pazienti con SIS-C negativo la probabilità che non si tratti di CUD varia tra 98% e 100%
  • prevalenza dell’8%:  probabilità compresa tra 22% e 42%. Con SIS-C negativo la probabilità che non si tratti di CUD è compresa tra 95% e 100%.
  • prevalenza del 20%-30% (soggetti con disturbi mentali o con abuso di sostanze);  probabilità compresa tra 45 e 78%. Con SIS-C negativo la probabilità che non si tratti di CUD varia tra 81 e 100%.

Un test SIS-C positivo, con soglie che vanno dall’uso mensile a più frequente, dimostra una sensibilità del 96% e una specificità dell’89% nell’identificare CUD moderato – severo, mentre con una soglia riferita all’ uso quotidiano la specificità nell’identificare CUD severo arriva a 96%, mentre la sensibilità risulta del 57%.

Quale può essere l’utilità di tali risultati?

In ambienti sovraffollati come il Pronto Soccorso o l’ambulatorio del Medico di Base, dove il tempo a disposizione è sempre molto ridotto, può essere molto utile avere a disposizione un test di screening, di facile somministrazione e che in tempi rapidi permetta di confermare che cannabis è responsabile del quadro clinico presentato dal paziente. In contesti a bassa prevalenza di CUD, il valore predittivo di SIS-C è basso; sarà pertanto necessario il follow up del paziente e adottare screening specifici che richiedono maggior impegno da parte dell’operatore.

Tuttavia, un test di screening positivo rappresenta il punto di partenza per approfondire l’anamnesi del paziente, richiedere le ragioni per l’uso, comprese quelle mediche, e per discutere di rischi/benefici. Inoltre, grazie all’elevato valor predittivo negativo, lo screening con SIS-C, se negativo, permette di escludere con sicurezza che il quadro clinico sia ascrivibile al consumo di cannabis.

In sintesi, lo studio dimostra che SIS-C è un efficace test di screening per CUD ed ha eccellenti caratteristiche prestazionali se utilizzato a livello di cure primarie e in contesti in cui sia autorizzato l’uso legale di cannabis. Inoltre, le soglie utilizzate per lo screening possono essere adattate a differenti popolazioni di pazienti oltre che alle esigenze e preferenze della Struttura Sanitaria che gestisce il Servizio.

Riferimenti

Jason Patel, Raman Marwaha. Cannabis Use Disorder. July 11, 2022. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK538131/#_article-18815_s15_

Matson TE et al. Validity of the Single-Item Screen–Cannabis (SIS-C) for Cannabis Use Disorder Screening in Routine Care. JAMA Netw Open. November 1, 2022; doi:10.1001/jamanetworkopen.2022.39772. https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2798000

Sayre M et al. Routine Assessment of Symptoms of Substance Use Disorders in Primary Care: Prevalence and Severity of Reported Symptoms. Journal of General Internal Medicine volume 35, pages 1111–1119 (2020) 23 January 2020. https://link.springer.com/article/10.1007/s11606-020-05650-3#MOESM1