Il Sistema Sanitario USA nonostante prestazioni di massimo livello all’interno dei Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) , deve gestire una crisi sanitaria contrassegnata da un’aspettativa di vita in declino e da profonde disuguaglianze. Lo studio Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD) 2021 ha evidenziato tendenze preoccupanti analizzando 371 malattie, 88 fattori di rischio e metriche come l’aspettativa di vita (HALE) e gli anni vissuti con disabilità (YLD). Dal 1990 al 2021, gli USA sono passati dal 19° al 47° posto per l’aspettativa di vita femminile, e dal 35° al 46° per quella maschile. In alcuni stati, come il Mississippi e la Virginia Occidentale, le aspettative di vita sono tra le più basse al mondo. Non ultimo, gli anni vissuti con disabilità (YLD) sono estremamente alti, con otto Stati USA che superano ogni altro Paese a livello globale. Tra le principali cause figurano condizioni croniche diffuse, abitudini di vita dannose e una crisi senza precedenti legata alla salute mentale e alla diffusione di oppioidi.
Crisi Sanitaria USA
Cosa ha influito sulla sanità? Come si è arrivati a risultati tanto negativi visto che le risorse economiche non mancano? La spesa per l’assistenza medica è infatti, più del doppio rispetto a quella di Nazioni omologhe ma, paradossalmente, gli USA continuano a essere molto indietro rispetto ai loro pari. Principali cause e fattori di rischio paiono essere:
- Condizioni croniche e fattori comportamentali. Nonostante gli Stati Uniti siano il Paese che spende di più in ambito sanitario tra tutte le nazioni sviluppate, i risultati ottenuti in termini di salute pubblica non riflettono questo investimento. Al contrario, gli indicatori sanitari mostrano tendenze preoccupanti, con alti tassi di malattie croniche e condizioni che incidono profondamente sulla qualità e sull’aspettativa di vita della popolazione. Tra le principali problematiche emergono i dolori lombari e i disturbi muscoloscheletrici, che rappresentano una delle cause più diffuse di disabilità nel Paese. Queste condizioni, spesso legate a stili di vita sedentari, obesità o lavori fisicamente impegnativi, hanno impatto significativo sulla produttività e sulla vita quotidiana di milioni di americani. L’ipertensione è un altro fattore di rischio rilevante, essendo una delle principali cause di malattie cardiovascolari, ictus e insufficienza renale. Nonostante l’ampia disponibilità di trattamenti e farmaci, molte persone non ricevono una diagnosi tempestiva o non riescono a gestire adeguatamente questa condizione, contribuendo così all’aumento dei decessi prematuri. Anche il consumo di tabacco continua a rappresentare un grave problema di salute pubblica. Sebbene il tasso di fumatori sia diminuito rispetto al passato, il tabacco rimane una delle principali cause di cancro ai polmoni, malattie cardiache e disturbi respiratori cronici. Inoltre, la crescente diffusione delle sigarette elettroniche, soprattutto tra i giovani, ha sollevato nuove preoccupazioni, suggerendo che la dipendenza dalla nicotina sta assumendo forme diverse, ma altrettanto dannose. Un altro fattore determinante per le metriche sanitarie negative è rappresentato dalla disglicemia – ossia le alterazioni nei livelli di zucchero nel sangue – che contribuisce in modo significativo all’epidemia di diabete di tipo 2. Tale condizione è fortemente legata all’alimentazione scorretta, al consumo eccessivo di zuccheri e all’obesità, fenomeni sempre più diffusi negli Stati Uniti. L’incapacità di prevenire o gestire in modo efficace il diabete porta a complicanze gravi, come malattie cardiache, cecità e amputazioni, gravando ulteriormente sul Sistema Sanitario. Oltre alle malattie croniche, un aspetto particolarmente allarmante riguarda la crescente crisi della salute mentale e la diffusione degli oppioidi. Negli ultimi anni l’uso di oppioidi, sia prescritti che illegali, ha raggiunto livelli preoccupanti, diventando una delle principali cause di morte tra i giovani adulti nella fascia di età compresa tra i 15 e i 49 anni. La dipendenza da oppioidi, spesso originata da prescrizioni mediche per la gestione del dolore, si è trasformata in una vera e propria epidemia che ha devastato intere comunità, contribuendo a un aumento senza precedenti delle overdosi letali. La salute mentale, già compromessa da alti livelli di stress, precarietà economica e isolamento sociale, è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia di COVID-19, che ha portato a un’impennata di disturbi come ansia e depressione. Tuttavia, l’accesso ai Servizi di supporto psicologico e psichiatrico rimane limitato, lasciando molte persone senza assistenza necessaria. Questa combinazione di fattori ha contribuito ad alimentare un ciclo negativo, aumentando i tassi di suicidio e il deterioramento delle condizioni di salute mentale in ampie fasce della popolazione. In definitiva, sebbene gli Stati Uniti dispongano delle risorse per affrontare queste sfide, la mancanza di interventi mirati e l’inequità nell’accesso alle cure continuano a ostacolare il progresso. Affrontare questi problemi richiede un approccio olistico, che non si limiti a trattare i sintomi ma che agisca anche sulle cause profonde, promuovendo la prevenzione e garantendo cure accessibili e di qualità per tutti.
- Disuguaglianze razziali. Le disuguaglianze sanitarie negli Stati Uniti non si manifestano in modo uniforme sul territorio, ma seguono linee ben definite, legate sia alla geografia che all’appartenenza razziale. Queste disparità riflettono differenze profonde nelle condizioni di vita, nell’accesso alle cure e nei determinanti sociali della salute, evidenziando come fattori storici ed economici continuino a influenzare negativamente ampie fasce della popolazione. A livello geografico, il divario è particolarmente evidente se si confrontano stati come le Hawaii, che vantano alcuni dei migliori indicatori di salute e aspettativa di vita, con le regioni degli Appalachi e del Sud degli Stati Uniti, dove le condizioni sanitarie risultano decisamente più critiche. Questa differenza non è casuale: nelle aree più svantaggiate, i problemi di salute si intrecciano con povertà radicata, mancanza di accesso a strutture sanitarie adeguate e maggiore incidenza di malattie croniche. L’eredità di decenni di disinvestimento in queste comunità ha lasciato cicatrici profonde, che si riflettono in tassi di disabilità più elevati e in aspettativa di vita più bassa rispetto ad altre aree del Paese. Ma la geografia è solo una parte della questione. Le disuguaglianze sanitarie negli Stati Uniti sono anche fortemente segnate dalla razza. La pandemia di COVID-19 ha messo in luce questa realtà in modo drammatico: il tasso di mortalità tra gli afroamericani è stato il doppio rispetto a quello della popolazione bianca. Questa disparità non è frutto del caso, ma risultato di un accesso limitato ai Servizi Sanitari, di condizioni lavorative più esposte al rischio di contagio e di maggiore incidenza di malattie pregresse come diabete, ipertensione e obesità, che aumentano la vulnerabilità al virus. Le differenze razziali emergono con forza anche nei settori della salute materna e neonatale. Le donne afroamericane affrontano un tasso di mortalità materna che è tre volte superiore rispetto alle donne bianche. Questo dato allarmante riflette non solo barriere economiche e logistiche, ma anche un sistema sanitario che, troppo spesso, non ascolta e non risponde adeguatamente alle esigenze delle donne nere durante la gravidanza e il parto. Anche i neonati neri sono esposti a rischio di mortalità molto più elevato rispetto ai neonati bianchi – il 130% in più –dato che evidenzia come le disuguaglianze inizino fin dalla nascita e abbiano effetti a lungo termine sul benessere di intere comunità. Affrontare queste disparità richiede un approccio che vada oltre il semplice miglioramento delle infrastrutture sanitarie. È necessario un impegno più ampio per combattere le disuguaglianze economiche, sociali e culturali che perpetuano queste differenze. Programmi di prevenzione, politiche di inclusione e maggiore rappresentatività delle comunità svantaggiate nei settori della sanità possono contribuire a ridurre questo divario, creando un sistema più equo e accessibile per tutti.
- Politiche e ostacoli. Le politiche sociali e sanitarie negli Stati Uniti continuano a rappresentare uno degli ostacoli principali alla costruzione di un sistema di assistenza equo e accessibile per tutti. A differenza di molti altri Paesi sviluppati, gli Stati Uniti non offrono un sistema sanitario universalistico che garantisca diritti fondamentali, come assistenza alla maternità o congedo retribuito per le lavoratrici. Questa mancanza crea profonde disparità, soprattutto per le donne e le famiglie a basso reddito, costringendole a scegliere tra il lavoro e la salute. Un aspetto emblematico di queste criticità è legato alla salute riproduttiva. In molti Stati, le donne devono affrontare enormi difficoltà per accedere ai Servizi di maternità, a causa della mancanza di copertura sanitaria universale. A ciò si aggiunge l’assenza di congedi parentali obbligatori e retribuiti, situazione che aggrava ulteriormente la vulnerabilità delle famiglie durante i periodi di gravidanza e dopo il parto. Questo vuoto normativo si traduce in aumento dei rischi per la salute materna e infantile, con ripercussioni che colpiscono in modo sproporzionato le comunità più svantaggiate. Le difficoltà non si fermano qui. Le politiche riproduttive restrittive hanno ulteriormente complicato l’accesso ai servizi essenziali per la salute delle donne. Un esempio evidente è rappresentato dalla controversa sentenza Dobbs vs. Jackson Women’s Health Organization, che ha ribaltato il precedente storico della sentenza Roe vs. Wade, eliminando il diritto costituzionale all’aborto. Questa decisione ha creato un ambiente ancora più ostile per la salute riproduttiva, aumentando gli ostacoli e limitando gravemente l’autonomia delle donne, in particolare quelle che vivono in Stati con leggi fortemente restrittive in materia di aborto. Per molte, l’impossibilità di accedere a Servizi di interruzione di gravidanza sicuri significa dover affrontare gravidanze non pianificate in condizioni di precarietà economica e sociale, con impatto significativo sul loro benessere fisico e mentale. Oltre alle barriere attuali, il sistema sanitario statunitense è segnato da disuguaglianze radicate nella storia del Paese. Pratiche discriminatorie passate, come il redlining – una politica di segregazione residenziale che negava prestiti e servizi alle comunità afroamericane – hanno avuto conseguenze di lungo termine che ancora oggi si riflettono sulla salute pubblica. Le comunità che furono vittime di redlining spesso si trovano in aree urbane con minore accesso a ospedali e strutture sanitarie, alimentando un circolo vizioso di disparità. L’effetto di queste pratiche si manifesta in indicatori sanitari peggiori, con incidenza più alta di malattie croniche e minore aspettativa di vita rispetto ad altre aree del Paese. Contrastare queste disuguaglianze richiede più di semplici riforme sanitarie: serve un cambiamento culturale e politico che affronti alla radice le ingiustizie strutturali. Politiche che promuovano l’equità nell’accesso alla sanità, il rafforzamento delle tutele per la maternità e l’eliminazione delle barriere economiche e razziali possono contribuire a costruire un sistema più inclusivo. Creare un ambiente in cui ogni individuo abbia accesso alle cure di cui ha bisogno non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di salute pubblica e progresso collettivo.
Raccomandazioni per il cambiamento
Nel 2022, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti ha organizzato un summit che ha messo in luce un dato tanto evidente quanto preoccupante: le disuguaglianze sanitarie nel Paese continuano a rappresentare un ostacolo significativo per milioni di cittadini, e affrontarle è diventato un imperativo urgente. Da questo incontro è emersa una chiara consapevolezza: per colmare i divari esistenti, non basta potenziare i servizi sanitari. È necessario intervenire in modo più ampio, agendo su diversi fronti che abbracciano la società nel suo complesso.
Una delle prime raccomandazioni emerse riguarda la necessità di investire in studi che analizzino il razzismo e l’impatto delle politiche antirazziste nel sistema sanitario. Il razzismo, infatti, è stato identificato come una delle cause profonde delle disuguaglianze sanitarie, con effetti concreti sulla qualità e sull’accesso alle cure per le comunità emarginate. Finanziare ricerche in questo ambito significa non solo fare luce sulle ingiustizie sistemiche ancora presenti, ma anche sviluppare strumenti concreti per misurare e ridurre queste disparità. Attraverso una raccolta dati più dettagliata e trasparente, sarà possibile individuare con precisione dove e come intervenire per garantire un sistema più equo.
Parallelamente, il summit ha sottolineato quanto sia fondamentale promuovere i diritti sociali fondamentali, come l’istruzione e l’alloggio, elementi che esercitano un’influenza diretta sulla salute delle persone. Vivere in condizioni abitative precarie o non avere accesso a un’istruzione adeguata aumenta il rischio di sviluppare malattie croniche e limita la capacità di accedere ai Servizi Sanitari. Migliorare questi aspetti significa, in ultima analisi, agire preventivamente sulle cause che spesso portano a un peggioramento delle condizioni di salute. Ad esempio, investire in programmi educativi non solo favorisce una maggiore consapevolezza sulle pratiche salutari, ma contribuisce a creare comunità più resilienti e informate, capaci di prendersi cura del proprio benessere a lungo termine.
Un altro punto cardine del summit ha riguardato il ruolo dei professionisti sanitari. È stato riconosciuto che, per abbattere le disuguaglianze, medici, infermieri e operatori del settore devono essere coinvolti attivamente nel cambiamento. La formazione continua per contrastare i pregiudizi impliciti è essenziale, poiché numerosi studi hanno dimostrato che anche atteggiamenti inconsapevoli possono influenzare negativamente il modo in cui i pazienti vengono trattati. Promuovere una maggiore sensibilità culturale e rafforzare la diversità all’interno della forza lavoro sanitaria può fare la differenza nel garantire cure più inclusive ed empatiche.
In sintesi, le raccomandazioni emerse dal summit puntano a costruire un Sistema Sanitario che non sia solo efficiente, ma anche giusto e accessibile a tutti. Attraverso l’integrazione di politiche antirazziste, il miglioramento delle condizioni sociali e un’azione consapevole da parte dei professionisti sanitari, è possibile tracciare la strada verso un futuro più equo, in cui ogni individuo possa godere del diritto alla salute senza discriminazioni o ostacoli.
Riferimenti
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