07/04/2025.Allenarsi per proteggere la mente? Un nuovo studio rivela che l’attività fisica “parla” anche al nostro cervello


Ogni giorno, mentre ci chiediamo se fare le scale o prendere l’ascensore, se uscire a fare una passeggiata o rimanere sul divano, potremmo stare – senza saperlo –decidendo qualcosa di molto importante: il futuro della nostra memoria.

Sappiamo ormai da anni che uno stile di vita attivo protegge cuore, muscoli e ossa. Ma cosa succede al nostro cervello mentre camminiamo, pedaliamo o facciamo ginnastica dolce? Una recente e sofisticata ricerca pubblicata a gennaio 2025 sulla rivista eBioMedicine (gruppo The Lancet) ci fornisce nuovi elementi su questa domanda. E ci racconta una storia sorprendente: l’attività fisica non solo fa bene alla mente, ma potrebbe persino contrastare gli effetti dei geni che ci rendono più vulnerabili all’Alzheimer.

Tra i tanti studi che cercano di capire come prevenire l’Alzheimer – la forma più comune di demenza – uno dei filoni più affascinanti riguarda il gene APOE. Esistono diverse varianti di questo gene: in particolare, chi possiede la forma chiamata APOE-ε4 ha un rischio molto più alto di sviluppare la malattia. Si stima che le persone con due copie di questa variante abbiano un rischio fino a dieci volte superiore rispetto a chi non la possiede.

Tuttavia, e qui sta la parte incoraggiante, non tutti i portatori di questo gene si ammalano. Cosa protegge allora chi, pur avendo una predisposizione genetica, riesce a mantenere il cervello in buona salute? Secondo gli autori dello studio, uno dei fattori chiave potrebbe essere proprio l’attività fisica.

Nel nuovo studio, condotto da ricercatori dell’Università del Maryland, è stato fatto qualcosa di molto particolare: sono state ricreate in laboratorio delle cellule di cervello umano – in particolare, quelle che formano la barriera ematoencefalica, cioè lo scudo protettivo che filtra ciò che entra e esce dal cervello – a partire da cellule staminali con diversi genotipi APOE. Queste cellule sono state poi esposte al siero prelevato da adulti sani di età compresa tra i 65 e gli 80 anni, prima e dopo sei mesi di attività fisica strutturata.

Lo scopo era capire se, e in che modo, il movimento potesse modificare il comportamento delle cellule cerebrali. I risultati sono stati sorprendenti: il siero “allenato” aveva un effetto positivo sul metabolismo delle cellule cerebrali, ma la risposta dipendeva dal genotipo. In particolare, le cellule con il gene APOE-ε3 (la forma “non a rischio”) miglioravano nettamente la loro funzionalità dopo esposizione al siero post-esercizio. Le cellule con il gene APOE-ε4, invece, mostravano un effetto più debole o addirittura opposto.

Una delle scoperte più interessanti riguarda una molecola chiamata SIRT1, una sorta di “guardiano” cellulare che regola il metabolismo e protegge le cellule dall’invecchiamento e dallo stress. Le cellule cerebrali con APOE-ε4 avevano livelli significativamente più bassi di SIRT1, mentre l’esercizio fisico aumentava questa proteina solo nelle cellule con APOE-ε3. In altre parole: il beneficio dell’attività fisica esiste, ma non è uniforme per tutti.

Tuttavia, questo non significa che le persone con APOE-ε4 non traggano vantaggio dall’attività fisica. Anzi. Lo studio suggerisce che i benefici dell’esercizio fisico sono complessi e probabilmente coinvolgono molti altri segnali e meccanismi, ancora in parte da scoprire. Sappiamo già, per esempio, che muoversi aumenta il flusso sanguigno cerebrale, riduce l’atrofia dell’ippocampo, migliora la plasticità neuronale e stimola la produzione di molecole neuroprotettive come il BDNF (Fattore Neurotrofico Cerebrale).

L’aspetto più importante di questa ricerca è rafforzare un concetto fondamentale della medicina preventiva: non possiamo scegliere i nostri geni, ma possiamo scegliere i nostri comportamenti. Anche in presenza di una predisposizione genetica, l’attività fisica regolare resta uno degli strumenti più potenti e accessibili per prendersi cura della propria salute mentale.

E non servono maratone o programmi sportivi faticosi. Lo studio si è basato su un allenamento moderato e progressivo, adattato all’età e alle condizioni dei partecipanti: anche solo camminare ogni giorno, fare ginnastica dolce, salire le scale, ballare, può fare la differenza. L’importante è farlo con costanza.

Questa ricerca ci ricorda che il cervello non è un organo passivo, destinato a perdere colpi con l’età. Al contrario, è un organo vivo, sensibile, che risponde agli stimoli positivi del nostro stile di vita. Tra questi, l’attività fisica si conferma come uno dei più potenti.

Muoversi, quindi, è molto più di una scelta di forma fisica. È una scelta di salute. E forse, anche un piccolo gesto quotidiano contro la perdita della memoria.

Callie M. Weber et al.  Impacts of APOE-ε4 and exercise training on brain microvascular endothelial cell barrier function and metabolism. eBioMedicine, January 2025. DOI: 10.1016/j.ebiom.2024.104058. https://www.thelancet.com/journals/ebiom/article/PIIS2352-3964(24)00523-1/fulltext?dgcid=buzzsprout_icw_podcast_generic_ebiom

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