2025/04/17. Equità di Genere e Salute per Tutti. Perché serve una svolta culturale e politica


Nel 2025, Lancet Commission on Gender and Global Health ha pubblicato un documento fondamentale per chi si occupa di promozione della salute: un’analisi approfondita del legame tra giustizia di genere e equità sanitaria globale, accompagnata da una proposta concreta di trasformazione. Il messaggio è chiaro: non può esistere salute per tutti senza un reale impegno verso l’equità di genere.

La giustizia di genere non si limita a “riparare” le disuguaglianze, ma propone un cambio di paradigma: rimettere in discussione potere, rappresentanza, accesso a risorse e linguaggi utilizzati in medicina e nei sistemi sanitari. Significa costruire sistemi che tengano conto delle esperienze vissute da donne, uomini e persone non binarie, considerando i condizionamenti culturali, economici e politici che influenzano salute, benessere e accesso alle cure.

Nonostante i benefici dimostrati da decenni di studi (migliore salute generale della popolazione, maggiore efficacia delle cure, riduzione delle disuguaglianze), permangono ostacoli culturali e strutturali che rallentano l’integrazione della prospettiva di genere nella salute pubblica. Tra questi: l’inerzia istituzionale, la frammentazione tra ambiti (salute, politiche sociali, diritti), e l’opposizione esplicita ai diritti di genere in molti contesti politici e sociali.

Per affrontare queste sfide, la Commissione propone un’azione articolata in cinque aree strategiche, che approfondiamo di seguito.

1.Costruire una comprensione condivisa della giustizia di genere nella salute globale è il punto di partenza per qualsiasi cambiamento significativo. Prima ancora delle politiche, dei finanziamenti o delle azioni concrete, serve una trasformazione culturale profonda. È fondamentale, infatti, che chi opera nel mondo della salute — a tutti i livelli — condivida una visione chiara e coerente di cosa significhi “giustizia di genere”. Purtroppo, ancora oggi, si tende a confondere i concetti di “sesso” e “genere”, oppure si considera il genere come una semplice variabile da aggiungere ai dati, senza riconoscerne il ruolo strutturale nel determinare accesso, qualità e risultati delle cure.

Per cambiare davvero prospettiva, è necessario definire in modo preciso il significato di “genere”, e comprenderne le interconnessioni con aspetti fondamentali della salute, come il potere decisionale, l’accesso ai Servizi e la partecipazione alle politiche pubbliche. Questa chiarezza terminologica e concettuale è la base su cui costruire un approccio realmente equo.

Ma non basta. Serve anche un investimento deciso nella formazione del personale sanitario, affinché questi temi entrino nei percorsi universitari, nei programmi di aggiornamento professionale e nella pratica quotidiana. Solo operatori formati e consapevoli possono contribuire a ridurre le disuguaglianze, riconoscerle quando si presentano e contrastarle in modo efficace.

Infine, è essenziale promuovere una narrazione comune, che unisca chi lavora nella sanità, nelle istituzioni, nel mondo della comunicazione e della ricerca. Parlare lo stesso linguaggio, usare gli stessi concetti, condividere valori e obiettivi è ciò che permette alla giustizia di genere di non restare un’idea astratta, ma di trasformarsi in pratica quotidiana.

Questa area d’intervento mira dunque a superare confusione e semplificazioni, fornendo alla comunità sanitaria strumenti teorici e pratici per affrontare le disuguaglianze con maggiore competenza, consapevolezza e responsabilità. Perché solo quando si comprende davvero un problema, si può iniziare a risolverlo.

2. Migliorare la base di evidenze: raccogliere e utilizzare dati sensibili al genere. Le politiche sanitarie devono basarsi su dati, ma i dati devono essere costruiti con metodo e visione critica. Troppo spesso, i dati raccolti non distinguono tra uomini e donne, o non considerano l’impatto di genere nella lettura degli esiti sanitari.

La Commissione sottolinea l’importanza di integrare sistematicamente la dimensione di genere in tutte le fasi della ricerca, a partire dalla progettazione degli studi fino alla diffusione dei risultati. Non si tratta solo di “aggiungere” la variabile genere, ma di ripensare le domande di ricerca, i metodi e l’analisi dei dati in modo che riflettano la complessità delle esperienze umane. Parallelamente, è fondamentale favorire la partecipazione di soggetti storicamente esclusi dalla produzione di conoscenza, come le donne scienziate, le ricercatrici dei Paesi del Sud globale e le attiviste impegnate sui diritti sanitari: il sapere scientifico deve essere più rappresentativo e democratico. Infine, i dati raccolti non possono restare confinati negli archivi accademici: devono essere accessibili, leggibili e utilizzabili da chi lavora nei Servizi sanitari, nei sistemi di governance e nella società civile, per guidare interventi concreti e fondati sulle evidenze. Solo così si potrà costruire una conoscenza scientifica capace di generare vera equità.

3. Sviluppare politiche sanitarie orientate al genere significa, innanzitutto, guardare alle politiche con occhi nuovi. Non basta intervenire sui contenuti: è necessario ripensare anche i meccanismi decisionali, i criteri di accesso, le modalità con cui vengono prese le decisioni. Applicare una “lente di genere” vuol dire analizzare criticamente le politiche esistenti per individuare, ad esempio, quelle discriminazioni implicite che passano inosservate ma che hanno effetti reali. Pensiamo a percorsi di cura costruiti su modelli biologici esclusivamente maschili, o a servizi con orari di apertura incompatibili con la vita quotidiana di molte donne, spesso impegnate nella cura di figli e familiari.

Allo stesso tempo, è essenziale promuovere l’equità anche all’interno del sistema sanitario, tra chi vi lavora. Questo vuol dire garantire pari opportunità di accesso alla formazione, alla carriera e ai ruoli apicali, affinché il personale sanitario possa crescere professionalmente senza essere ostacolato da stereotipi o barriere invisibili. Non meno importante è l’introduzione di meccanismi di responsabilità: chi detiene posizioni di potere nelle istituzioni sanitarie dovrebbe essere chiamato a rendere conto pubblicamente delle eventuali disuguaglianze in termini di retribuzione, incarichi, riconoscimenti.

Infine, per rendere davvero rappresentativo il sistema, serve una maggiore diversità nei comitati e nei consigli direttivi: la governance della salute deve rispecchiare la pluralità delle esperienze sociali, culturali e di genere della popolazione. Solo così si potrà costruire un sistema sanitario più giusto, in cui nessuna voce venga esclusa e ogni individuo si senta visto, ascoltato e tutelato.

4. Costruire sistemi di governance responsabili e trasparenti è uno dei passaggi fondamentali per realizzare un cambiamento reale e duraturo. La responsabilità pubblica – cioè il dovere delle istituzioni di rendere conto delle proprie scelte – rappresenta un principio cardine, ma troppo spesso, nella pratica, i sistemi che dovrebbero monitorare l’equità in salute e quella di genere restano separati, deboli e poco incisivi.

Per rafforzare la governance in modo efficace, la Commissione propone innanzitutto di creare piattaforme integrate, capaci di leggere in modo congiunto i dati relativi alla salute e quelli legati al genere, così da avere un quadro complessivo, coerente e utile a guidare le decisioni. Serve poi un rafforzamento dei meccanismi di controllo a livello nazionale, affinché le scelte politiche e amministrative siano trasparenti, tracciabili e giustificabili, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione delle risorse pubbliche.

Un’altra sfida cruciale riguarda la necessità di contrastare con decisione le forze anti-genere, ovvero quei movimenti e attori sociali che cercano di ostacolare o delegittimare i progressi ottenuti sul fronte dei diritti e dell’equità. Questo implica anche una valutazione attenta dell’impatto di genere delle politiche commerciali e delle strategie di marketing sanitario, che troppo spesso rispondono più alle logiche del profitto che ai principi di giustizia sociale.

Infine, la Commissione invita a guardare al mercato non solo come fonte di disuguaglianze, ma anche come possibile alleato: sostenere e premiare aziende, servizi e iniziative che adottano criteri di giustizia di genere può diventare una leva importante per orientare il cambiamento in modo virtuoso.

In sintesi, solo costruendo sistemi di governance forti, trasparenti e inclusivi sarà possibile garantire che le politiche in materia di salute e genere siano non solo ben formulate, ma anche realmente applicate, monitorate e migliorate nel tempo.

5. Finanziare la giustizia di genere nella salute globale non è solo una questione tecnica, ma una scelta politica e culturale che rivela le vere priorità di un sistema. Come per ogni strategia ambiziosa, anche quella della giustizia di genere ha bisogno di risorse dedicate, stabili e ben indirizzate. La Commissione richiama con forza l’attenzione sul fatto che, ad oggi, gli investimenti in questo ambito sono ancora insufficienti e troppo spesso distribuiti in modo frammentario, senza una visione di insieme.

Per colmare questo divario, viene proposto di istituire fondi specifici destinati a promuovere la giustizia di genere in sanità, affinché le buone intenzioni possano tradursi in azioni concrete e continuative. Ma non basta affidarsi alle risorse tradizionali: è necessario anche sviluppare modalità innovative di finanziamento, coinvolgendo attori non istituzionali come fondazioni, imprese sensibili ai temi dei diritti umani, o esplorando strumenti fiscali capaci di sostenere queste iniziative in modo duraturo.

Un altro aspetto fondamentale è dimostrare, attraverso dati solidi, che investire nella giustizia di genere conviene anche dal punto di vista economico. Le evidenze ci dicono che l’equità in salute riduce i costi legati alla cronicità, all’abbandono delle cure, alla violenza di genere e alla mortalità evitabile. In altre parole, spendere oggi per costruire un sistema più giusto significa evitare spese maggiori domani.

Scegliere di finanziare la giustizia di genere nella salute vuol dire, dunque, investire in un futuro più equo, più efficiente e più sostenibile, a beneficio non solo delle donne o dei gruppi discriminati, ma dell’intera società.

Un impegno da costruire insieme

La giustizia di genere non è un’agenda “di nicchia”. Riguarda tutte e tutti: come utenti del sistema sanitario, come operatori, come cittadini. Le sue ricadute positive sono ormai evidenti: salute migliore, sistemi più efficaci, maggiore fiducia nelle istituzioni.

Anche le associazioni che operano nei territori, come ASPIC, possono essere motore di cambiamento: promuovendo alfabetizzazione sanitaria, offrendo spazi di ascolto e confronto, formando operatori consapevoli, traducendo in pratica i principi di equità e giustizia sociale.

In un tempo in cui la salute è sempre più intrecciata con le disuguaglianze sociali, culturali, economiche e di genere, scegliere un approccio giusto è anche scegliere un approccio scientificamente solido.

“Non ci sarà salute per tutti, finché non ci sarà giustizia per tutte e tutti.” The Lancet Commission on Gender and Global Health, 2025

Sarah Hawkes, et al. Achieving gender justice for global health equity: the Lancet Commission on gender and global health. The Lancet, Gender and Global Health. April 4, 2025. https://www.thelancet.com/commissions/gender-and-health

INFOGRAPHICS. Advancing gender justice in global health will have benefits for all. https://www.thelancet.com/infographics-do/gender-and-health-25

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