Comprendere le variabili di malattia. Approccio antropologico alla cura


Il dottor Fabio Pettirino ha appena completato, insieme alla dott.ssa Margherita Busso, il Progetto “Comprendere le variabili di malattia. Approccio antropologico alla cura”, realizzato presso l’ambulatorio Migrazione e Salute (MISA) dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino.

Il Progetto, in continuità con iniziative precedenti ( “HIV/TBC, Altre esperienze di malattia”, 2015; “Etnografia Clinica”, 2016; “Antropologia in Clinica”, 2018), oltre a sensibilizzare gli operatori sanitari sulla necessità dell’approccio olistico al paziente, ha portato alla messa a punto di una cartella antropologica da abbinare a quella clinica. Tale strumento ha permesso agli operatori di approfondire il vissuto del paziente in ambiti generalmente ignorati nell’anamnesi tradizionale.

Chiediamo  al dottor Pettirino una sua valutazione sul Progetto appena concluso.

Cosa ritiene abbia funzionato bene nel Progetto. Su quali elementi vorrebbe insistere in prossime iniziative?

Promuovere e sviluppare un approccio clinico antropologico alla cura ha significato rispondere concretamente al bisogno di adeguamento dei modelli di assistenza sanitaria all’utenza immigrata. Nell’attività di presa in carico, un’etnografia dell’esperienza di malattia si è dimostrata fondamentale per arginare forme di esclusione, respingimento o incomprensione che spesso si producono in questo tipo di Servizi. La cartella etnografica ha dimostrato di essere uno strumento vantaggioso, tanto sul fronte del personale medico, ovvero nell’interpretazione delle variabili di malattia, quanto su quello dei pazienti stranieri, che trovano uno spazio inatteso in cui esprimere e costruire la loro esperienza e prospettiva di malattia (e di cura).

Quali aspetti giudica insoddisfacenti, o comunque migliorabili, in funzione di un nuovo Progetto di questo tipo?

Nessun problema rilevante è emerso dal punto di vista metodologico nella realizzazione della progettualità. Tuttavia, permangono da un punto di vista pratico delle difficoltà tecniche di tipo informatico, che non consentono una digitalizzazione delle cartelle etnografiche prodotte all’interno del programma utilizzato attualmente dai medici. Al momento i dati etnografici permangono in una collocazione digitale provvisoria, in attesa che venga prodotta una sezione dedicata nei software in uso sui computer dell’ambulatorio.

Durante il Progetto si sono prodotti risultati inattesi (positivi o negativi)? Ritiene siano stati del tutto casuali o siano un effetto reale del Progetto?

Se già in passato l’iniziativa proposta aveva richiamato l’attenzione di altri settori ospedalieri, indicando la via di una possibile continuità di presa in carico antropologica tra reparto di degenza ospedaliera ed ambulatorio MISA dell’Ospedale Amedeo di Savoia, durante la realizzazione del Progetto si sono registrati invii di pazienti all’ambulatorio da parte Servizi esterni. Infatti medici di famiglia e cooperative gestrici di servizi per migranti hanno espressamente richiesto la possibilità di accedere a consulenze antropologiche. L’esistenza del Servizio di Antropologia Medica è stato conosciuto perlopiù attraverso un passaparola informale, che ha portato di fatto ad un ampliamento delle attività ambulatoriali del MISA comprendente l’applicazione di una metodologia antropologica. Tale interesse, prodottosi spontaneamente, ha portato ad immaginare una nuova proposta progettuale che vada in direzione dell’allestimento di uno “Sportello di Antropologia Medica” aperto a pazienti stranieri, ma anche a soggetti provenienti da Reparti ospedalieri o da Servizi di accoglienza per migranti.

In che modo avete misurato successi e insuccessi dell’iniziativa?

La tipologia del Progetto e la sua natura specificamente qualitativa non permettono al momento attuale di misurarne quantitativamente i risultati. Sebbene causa pandemia non si sia potuto realizzare parte del Progetto (Formazione del personale e realizzazione Corso accreditato ECM),  le consulenze antropologiche e la redazione dei relativi report hanno avuto regolare attuazione, stimando che una percentuale≥ 80% di pazienti è risultata  aderente ai controlli clinici programmati. 

Ritiene di continuare in futuro l’iniziativa avviata?

Certamente. L’esperienza di questi anni è stata molto utile anche per la mia formazione, e mi ha permesso di collaborare strettamente con medici che consideravano importante l’apporto dell’antropologo nella gestione del paziente straniero. La cartella etnografica sta diffondendosi, e la figura dell’antropologo medico non è più così estranea agli operatori sanitari, almeno per chi opera in specifici ambiti clinici. Realizzare lo “Sportello di antropologia medica” all’interno dell’Ospedale è un mio desiderio, e ci sono le premesse perché ciò si avveri. Quanto cerco di fare può contribuire ad una migliore presa in carico del paziente e, di conseguenza, ad aiutare per un più favorevole esito delle cure

Non resta che ringraziare il dottor Pettirino per quanto pazientemente ha costruito e ci ha fatto conoscere: effettivamente qualcosa in più, oltre alla nostra medicina basata sull’evidenza.

Riferimenti

La cartella etnografica in ambito medico“, L’Uomo, vol. IX (2019), n. 1, pp. 95-118, Carocci ed., Roma. https://www.researchgate.net/publication/340870206_La_cartella_etnografica_in_ambito_medico_Un_percorso_sperimentale_di_antropologia_applicata_alla_cura_di_pazienti_stranieri_nell%27ambulatorio_MISA_dell%27Ospedale_Amedeo_di_Savoia_di_Torino