Lo scenario attuale
L’Africa si trova attualmente nel momento peggiore della pandemia, e le prospettive non sono promettenti. La terza ondata di COVID-19, che molti Paesi africani stanno affrontando,è molto più vasta e gravosa per i sistemi sanitari che le precedenti. La povertà di mezzi diagnostici in certi Stati rende incerta l’epidemiologia dell’ondata in corso: i Paesi che riportano i numeri maggiori di casi sono il Sud Africa, la Namibia e lo Zambia. La Namibia e la Tunisia hanno il maggior numero di morti in rapporto alla popolazione totale. È stato inoltre osservato che coloro che contraggono forme gravi di COVID-19 hanno maggiore probabilità di morire in Africa che in altre parti del mondo, data la scarsità di attrezzature per la terapia intensiva e l’alta prevalenza di altre malattie croniche, quali il diabete e l’HIV. Quanto alle vaccinazioni, unica via di uscita, attualmente meno dell’1% della popolazione è completamente vaccinato, il che ha reso il continente vulnerabile a nuove e più trasmissibili varianti del virus, quali la Delta, con conseguente esaurimento economico e mentale da pandemia.
Tutto questo in un contesto con numerose aggravanti che riguardano non solo la fornitura, ma anche la distribuzione dei vaccini, quali la mancanza di infrastrutture per raggiungere regioni rurali remote, e l’arretratezza delle condizioni di vita. Sin dall’inizio, in molte nazioni africane mancavano i requisiti di base per la pianificazione, il finanziamento, l’assunzione di lavoratori addetti, la refrigerazione, il trasporto, la consegna e la somministrazione delle dosi. Solo pochi Paesi africani, come il Ruanda, disponevano della catena del freddo, necessaria per i vaccini a mRNA. Persino l’elettricità necessaria per refrigerare i vaccini è un problema: secondo la Banca Mondiale, in Africa sub-Sahariana soltanto il 28% dei Presidi sanitari dispone di impianti affidabili. In questo contesto si sono verificati episodi di grave disorganizzazione (mancato rispetto di priorità nei confronti degli operatori di prima linea e dei soggetti fragili), oltre che di spreco: nella Repubblica Democratica del Congo 1,3 su 1,7 milioni di dosi di Astra Zeneca sarebbero state date via perché non era possibile somministrarle prima della scadenza).
La vaccinazione
Anche il modesto traguardo di un 20% della popolazione vaccinata entro fine 2021 sembra non raggiungibile. Incapace di stabilire precocemente contratti per la fornitura di vaccini, l’Africa ha fatto assegnamento su COVAX, partnership mondiale per fornire dosi gratuite a Paesi che ne avessero bisogno. Ma le forniture COVAX hanno subito uno stop dopo che l’India – grande produttrice – ha imposto restrizioni all’esportazione di vaccini, avendo a che fare con la sua terza ondata di quest’anno. Questo fatto ha destabilizzato completamente lo svolgimento della vaccinazione in Africa: le riserve sono andate ad esaurimento e il ritmo di vaccinazione ha rallentato in molti Stati, o addirittura a maggio è stato sospeso del tutto proprio nel bel mezzo di una brutale terza ondata. Anche se tutto dovesse svolgersi secondo i piani, entro ottobre 2021 COVAX potrebbe fornire dosi per vaccinare completamente solo il 7% circa della popolazione.
Un problema morale
Questa situazione, peraltro prevedibile, è da imputarsi alla mancanza di equità nella ripartizione mondiale dei vaccini, questione moralmente discutibile. Infatti, anche se l’Africa potesse comprare i vaccini per conto proprio, quasi l’intera produzione prevista nel 2021 è già stata venduta ai Paesi ricchi. Alcuni di questi, a fine agosto, si troveranno ad avere 1,9 miliardi di dosi in più di quanto necessario per vaccinare le rispettive popolazioni. Le dimensioni di tale surplus hanno destato le ire dei leader africani, degli scienziati e delle organizzazioni per i diritti umani, che invocano la responsabilizzazione di tutti i Paesi e mettono in guardia sul fatto che protezionismo e accaparramento contribuiscono soltanto a prolungare la pandemia. Per tale motivo, recentemente WHO ha lanciato un appello ai Paesi ricchi perché aspettino a somministrare la “terza dose” ai loro cittadini (Israele è stato il primo) almeno fino alla fine di settembre, al fine di poter dare a più persone di Paesi poveri almeno una prima dose di questo farmaco salvavita. Tedros Ghebreyesus, direttore generale di WHO, ha dichiarato che oltre l’80% dei 4 miliardi di dosi distribuite nel mondo sono andate a Paesi ad alto reddito, sebbene questi rappresentino meno della metà della popolazione mondiale.
Una lezione di solidarietà
Se collaborazione e solidarietà, prerequisiti fondamentali per il successo contro la pandemia, si sono viste poco globalmente,di fronte alle avversità la comunità sanitaria africana lavora in un contesto di grande collaborazione, valutando le necessità a breve e i piani di sicurezza sanitari a lungo termine. Studi volti ad approfondire il concetto di solidarietà in tempi di catastrofica epidemia elogiano l’alleanza tra Centro Africano per il Controllo e la Prevenzione delle malattie (Africa-CDC), Unione Africana e Ufficio Regionale WHO per l’Africa, nel galvanizzare la cooperazione nel continente. Nell’insieme, tale alleanza ha lanciato iniziative che vanno dalla Piattaforma Africana per Rifornimenti Medicali, che accentra gli acquisti di materiale medico, alla Alleanza Africana per la Distribuzione dei Vaccini, che ha lo scopo di elaborare i piani vaccinali. Questa progressiva unità, che dovrebbe ampliarsi e coinvolgere tutti i politici degli Stati membri dell’Unione Africana, è guidata da scienziati locali e da comunità sanitarie, ma senza il contributo delle donne, che raramente compaiono in posizione chiave nella leadership di queste organizzazioni. Uno dei risultati più promettenti è stato l’acquisto, attraverso una piattaforma comune, di 400 milioni di dosi del vaccino Johnson & Johnson, a somministrazione singola, prima della fine del 2022,. Non si sa con esattezza quando queste dosi arriveranno effettivamente e se le reti di rifornimento saranno efficienti. Ma, almeno in teoria, l’accordo dovrebbe garantire una prevedibile scorta di vaccini.
Segni di speranza
Un’organizzazione pubblico-privata che affianca COVAX, denominata Gavi, sta lavorando per procurare migliaia di contenitori refrigerati, veicoli di trasporto per vaccini, frigoriferi e congelatori per 71 nazioni a basso reddito, delle quali 39 sono in Africa. L’attrezzatura comprenderà frigoriferi a energia solare, in grado di conservare i vaccini per giorni anche in assenza di elettricità.
Il miglioramento dei programmi vaccinali in Africa è una sfida globale. WHO e Africa-CDC hanno dichiarato di sperare in un concreto significativo aumento delle forniture nelle settimane a venire, sia attraverso donazioni bilaterali che attraverso COVAX. Intanto, nazioni ricche con eccesso di dosi hanno incominciato a condividere i vaccini. In collaborazione con l’Unione Africana, COVAX si occuperà di distribuire presto 49 milioni di dosi di vaccini Johnson & Johnson e Pfizer donate dagli USA ai Paesi africani. Altre centinaia di migliaia di dosi arriveranno da Francia, Danimarca, Norvegia e Svezia, mentre a giugno le nazioni del G7 hanno annunciato l’intenzione di condividere almeno 870 milioni di dosi con i Paesi a basso reddito, inclusi quelli africani.
La lezione che deriva da questa crisi è che l’Africa non può dipendere da altri Stati sovrani per le forniture. Solo 7 Paesi africani hanno compagnie che lavorano nella catena di produzione di vaccini. Il Kenya ha annunciato un progetto per costruire un impianto per confezionare vaccini COVID e distribuirli regionalmente. Due compagnie, rispettivamente in Marocco e in Egitto, puntano a produrre localmente i vaccini cinesi Sinopharm e Sinovac, mentre il Ruanda ha firmato un accordo con l’Unione Europea per aumentare la sua capacità produttiva. Un progetto europeo-americano dovrebbe investire più di 700 milioni di dollari per un impianto in Sudafrica capace di fornire oltre 500 milioni di dosi per la fine del 2022. Anche la imminente disponibilità di più tipi di vaccini (es. Novavax (USA) e Corbevax dell’indiana Biological E, con enorme capacità produttiva) aiuterà a piegare il virus in Africa.
Conclusioni
Anche se alcuni di questi sforzi si materializzeranno nei prossimi mesi, la realtà in Africa è che i vaccini sono necessari adesso. L‘emergenza di vaccinare larga parte della popolazione, mentre i sistemi sanitari sono già sotto pressione, avrebbe potuto essere evitata se i disaccordi internazionali e il nazionalismo vaccinale non avessero spinto i Paesi africani in fondo alla coda. E qui nasce la domanda: perché i leader della sanità africana non sono stati coinvolti di più nella costruzione di COVAX? L’Africa ha un grande bisogno e volontà di assumere il controllo sulla propria sicurezza sanitaria, in modo che i suoi Stati possano delineare il quadro della loro futura salute. C’è una spinta ambiziosa verso la costruzione di un Sistema Sanitario Nazionale in ogni Stato, supportato da Africa-CDC, e un programma che vede il continente produrre da sé i vaccini, i farmaci e i test diagnostici nel quadro di un servizio pubblico di emergenza in risposta alle epidemie. La lezione di solidarietà data dai Paesi dell’unione africana colpisce sicuramente, ma non può andare molto lontano fintanto che la solidarietà internazionale resta così irrisoria. Si deve arrivare a una resa dei conti su come il sistema multilaterale mondiale debba avvicinarsi all’Africa: nessuna iniziativa sanitaria globale, fondazione o organizzazione deve essere governata senza il coinvolgimento dei leader africani ad ogni livello decisionale.
Riderimenti
A.L. Dahir et J. Holder, Africa’s Covid Crisis Deepens, but Vaccines Are Still Far Off. The New York Times, July 16, 2021. https://nyti.ms/36J8tk1
Editorial: COVID-19 in Africa: a Lesson in Solidarity. The Lancet, vol. 398, July 17, 2021. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01610-X/fulltext
News conference, WHO Calls for Pause on Booster Doses. World Health Organization, Aug. 4, 2021.https://www.webmd.com/lung/news/20210804/who-calls-for-pause-on-booster-doses