SARS- CoV- 2 è un formidabile nemico: ad un anno dall’inizio dell’epidemia nuovi casi continuano ad essere segnalati in tutto il mondo. Differenti fattori hanno contribuito alla diffusione: tra questi, l’inadeguato sostegno alla Sanità Pubblica, la non aderenza a pratiche di controllo delle infezioni, mutazioni adattive di SARS-CoV-2 che ne favoriscono la sua replicazione nell’uomo, e le insufficienti conoscenze di come il virus si trasmette da persona a persona, in particolare attraverso la via aerea.
Sin dall’inizio della pandemia è stata documenta la presenza del genoma virale (vRNA) in differenti campioni, ma pochi studi hanno tentato l’isolamento del virus. Le nostre attuali conoscenze potrebbero essere state applicate in modo non corretto al controllo dell’infezione, controllo che deve basarsi sull’isolamento di SARS-CoV-2 in forma vitale, e pertanto infettiva. Il virione SARS-CoV-2 non infettivo non può provocare COVID-19.
I test RT-PCR, comunemente utilizzati per la diagnosi di infezione, non discriminano tra virione infettivo e non infettivo; tamponi nasofaringei, e altri campioni prelevati da soggetti con malattia, contengono un mix formato da virioni, cellule infette e detriti cellulari contenenti SARS-CoV- 2 vRNA non assemblato in virioni, e SARS-CoV-2 m RNAs. Inoltre, sono sempre più frequenti le segnalazioni che, dopo 8 giorni dalla comparsa dei sintomi, in campioni del tratto respiratorio della maggior parte dei pazienti non sia più presente virus infettivo, anche se elevate quantità di SARS-CoV-RNA sono misurabili con RT-PCR.
Tali osservazioni hanno condotto a valutazioni epidemiologiche confondenti, perché basate sulla presenza di SARS-CoV-2 RNA. E’ pertanto corretto chiedersi: per quanto tempo il paziente COVID-19 rappresenta un rischio per gli altri?
L’isolamento di SARS-CoV- 2 da colture cellulari può essere realizzato in laboratori di alta sicurezza, disponibili solo in un numero ristretto di Ospedali. La metodica richiede tempo, è costosa e, in una prospettiva clinico/diagnostica, non può essere utilizzata per la diagnosi rapida. Vi è la necessità di poter disporre di un test rapido ed economico, che possa predire il rischio di esposizione al virus. La risposta ci viene dallo studio di Pekosz A. che avrebbe dimostrato come test basati sulla ricerca dell’antigene virale, e non di RT-PCR, possono indicare la presenza di virus infettivo.
Gli autori hanno prelevato campioni da secrezioni respiratorie di pazienti COVID-19, provenienti da 21 aree geografiche, e li hanno analizzati in tre differenti modalità: RT-PCR, ricerca dell’antigene e coltura del virus. Il risultato più importante è stato che il sistema di identificazione rapida dell’antigene si correla con la presenza di virus infettivo. Lo studio ha importanti punti di forza: mette insieme un’indagine di salute pubblica con il gold standard rappresentato dal laboratorio di virologia, e i risultati ottenuti, del tutto concordanti, provengono da differenti laboratori dove analisti indipendenti hanno eseguito i test.
Sulla base di tali risultati vanno riconsiderati sia il periodo di contagiosità del paziente COVID-19 che aspetti tecnici relativi alla diagnostica; ad oggi, il sistema di identificazione dell’antigene non è stato valutato in modo estensivo da laboratori di ricerca clinica, ma potrebbe invece offrire un’utile applicazione pratica; inoltre, il sistema RT-PCR non è alla portata della maggior parte dei laboratori, ed è necessaria la validazione per il suo impiego. Pertanto, per valutare la contagiosità di pazienti COVID- 19, perché non utilizzare un test pratico e poco costoso qual’ è la ricerca dell’antigene?
Inoltre, anche in riferimento ai costi di gestione e al controllo delle infezioni, potremo in futuro dare una risposte a queste domande?
- Si è verificata una riduzione dei costi prevalentemente correlata alla durata di ospedalizzazione?
- Dopo 8 giorni dalla comparsa dei sintomi, lo spostamento di pazienti dalle stanze di isolamento è risultato sicuro?
- Per questi pazienti sono stati utilizzati respiratori meno costosi?
NOTE.
Per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2, oltre all’isolamento del virus da colture cellulari (non realizzabile nella routine), si utilizzano:
- I Test dell’Acido Nucleico (NAT): sono test di tipo qualitativo e rilevano la presenza di RNA virale. Tipicamente, usano una fase di amplificazione basata su RT-PCR.
- I test antigenici: rilevano la presenza di un antigene virale, parte di una proteina di superficie.
- I test anticorpali: rilevano la presenza di anticorpi generati contro SARS-CoV-2.
Riferimenti
John A Lednicky. A practical and economic approach for assessing potential SARS-CoV-2 transmission risk in COVID-19 patients. Clin Infect Dis. 2020 Dec 1; https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33258915/
Pekosz A. Antigen-based testing but not real-time PCR correlates with SARS-CoV-2 virus culture https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.10.02.20205708v1