E’ possibile la reinfezione da SARS-CoV-2?


SARS-CoV-2 continua a circolare: la pandemia ha gravemente sconvolto il Sistema Sanitario e bloccato le attività socieconomiche. Una delle domande che interessa maggiormente la popolazione è se sia possibile che la malattia possa ripetersi (reinfezione): si è osservato infatti che gli anticorpi neutralizzanti, che si formano dopo la prima infezione e che rappresentano un importante meccanismo di difesa dell’organismo, tendono a scomparire nell’arco di 2-4 mesi.

Wang To e coll. hanno segnalato il caso di un paziente in cui si è manifestata una reinfezione da SARS-CoV 2 dopo 4 mesi dal primo episodio. Dati sierologici, clinici ed epidemiologici hanno fatto escludere che si trattasse di COVID-19 ad andamento protratto. Il paziente, uomo di 33 anni residente ad Hong Kong , aveva sempre goduto buona salute. Ricoverato in ospedale il 29 marzo 2020, è stato dimesso il 14 aprile dopo conferma, in successivi tamponi a livello rinofaringeo, che il virus era scomparso.  Il 15 agosto, di ritorno a Hong Kong dalla Spagna, al controllo sanitario aeroportuale il paziente è risultato nuovamente positivo al virus. Ricoverato in ospedale pur essendo asintomatico, è stata confermata la reinfezione sulla base dei seguenti dati:

  • Progressiva riduzione della carica virale, evidenziata tramite la ricerca seriale di SARS-CoV -2 da tamponi nasofaringei
  • Positivizzazione di immunoglobuline neutralizzanti il virus (SARS-CoV-2 IgG) al quinto giorno di ricovero
  • Incremento dei Proteina C reattiva durante il ricovero, seguito da successiva discesa
  • Identificazione, tramite sequenziamento del genoma virale, che le due infezioni erano sostenute da ceppi di SARS-CoV-2 differenti: il primo più strettamente correlato a ceppi provenienti da Stati Uniti o Inghilterra e raccolti nel periodo marzo-aprile 2020, il secondo a ceppi provenienti da Svizzera e Inghilterra, raccolti nel periodo luglio – agosto 2020.

Perché si è verificata reinfezione da SARS-CoV-2?

La risposta immune “adattiva” dell’ospite impedisce che possa ripetersi un’infezione da parte di uno stesso microrganismo. Tale risposta è correlata sia alla produzione di anticorpi neutralizzanti, sia all’ “attivazione” di linfociti T (linfociti T CD4 e linfociti T CD 8): ambedue le risposte sono prevalentemente dirette contro la proteina spike del virus, proteina che rappresenta il punto di attacco del virus alla cellula ospite. Ceppi SARS-CoV-2 differenti possono presentare modifiche della proteina spike, con il risultato che la risposta immune “adattiva” non è in grado di riconoscere il virus, e quindi di bloccarne la replicazione, in occasione di un successivo nuovo contatto.

Nel paziente in questione

  • La reinfezione è stata possibile in quanto risultavano assenti gli anticorpi indotti dal primo episodio di COVD-19. E’ stato infatti dimostrato che soggetti con un primo episodio di malattia “lieve” possono avere una risposta anticorpale ridotta e, pertanto, non protettiva nei confronti di un successivo nuovo contatto con lo stesso virus.
  • La reinfezione si è manifestata in modo asintomatico, probabilmente per effetto dell’azione di linfociti T “attivati”, che hanno impedito il rapido moltiplicarsi del virus e facilitato la sua progressiva eliminazione.

Quali altre considerazioni emergono dall’accertata possibilità di reinfezione?

  • E improbabile che l’“immunità di gregge” possa eliminare SARS-CoV-2
  • Il virus continuerà a circolare nella popolazione. Come per i Coronavirus umani “stagionali”, responsabili del raffreddore comune, la reinfezione si verifica nonostante la presenza costante, anche se a bassi livelli, di anticorpi specifici
  • Successive infezioni da SARS-CoV-2 potrebbero essere più lievi della prima, grazie alla risposta immune “adattiva”: nel paziente in questione, la malattia è risultata del tutto asintomatica
  • Vaccinazione anti SARS-CoV-2 potrebbe essere presa in considerazione per coloro che hanno superato la prima infezione; tuttavia, anche il vaccino potrebbe non fornire una risposta protettiva duratura
  • Indagini epidemiologiche, basate sulla siero prevalenza, possono sottostimare il numero reale di soggetti che sono venuti a contatto con SARS-CoV-2; ciò si verifica quando la ricerca degli anticorpi (immunoglobuline IgG) sia effettuata o troppo precocemente o troppo tardivamente rispetto al momento della diagnosi di infezione
  • In base ai dati sino ad ora acquisiti e brevemente accennati, si può dedurre che misure di controllo epidemiologico (uso della mascherina e distanziamento sociale) dovrebbero essere raccomandate anche a chi ha già superato la malattia.

Riferimenti

Kelvin Kai-Wang To et al. COVID-19 re-infection by a phylogenetically distinct SARS-coronavirus-2 strain confirmed by whole genome sequencing. Clinical Infectious Diseases, ciaa1275, https://doi.org/10.1093/cid/ciaa1275