La (sovra)medicalizzazione: Definizione e complessità di un fenomeno moderno
Con il termine (sovra)medicalizzazione si indica l’espansione del dominio medico su aspetti della vita che, fino a poco tempo fa, non erano considerati problemi di salute. In altre parole, si tratta di un processo in cui situazioni normali o disagi quotidiani vengono interpretati come malattie che richiedono diagnosi, trattamenti o farmaci.
Pensiamo a condizioni come la caduta dei capelli, la timidezza, l’insonnia occasionale o il normale invecchiamento. Queste condizioni, in passato accettate come parte dell’esperienza umana, oggi tendono a essere trattati come disturbi da curare con farmaci o interventi medici. La tendenza è alimentata da fattori quali l’Iper-diagnosi, vale a dire lo scoprire condizioni che non avrebbero mai causato sintomi o problemi reali, ma che vengono comunque classificate come malattie. Ad esempio, esami sempre più sofisticati rilevano anomalie minime che non avrebbero avuto alcun impatto sulla vita del paziente. Altro fattore è rappresentato dall’iper trattamento come l’utilizzo di farmaci, esami o procedure mediche, non strettamente necessari, per affrontare condizioni che si risolverebbero da sole o che non minacciano la salute del paziente. Infine, industria farmaceutica, tecnologia medica, media e pressioni sociali sono tutti fattori che contribuiscono a spingere verso la medicalizzazione. La pubblicità e i consigli sui social network fanno credere che ogni piccolo sintomo debba essere trattato, alimentando una costante domanda di cure.
Il fenomeno della (sovra)medicalizzazione è difficile da inquadrare.Non esiste una definizione unica e precisa; inoltre, presenta molteplici sfaccettature e varia a seconda del contesto culturale, sociale ed economico. Ciò che in un Paese è considerato una malattia, in un altro potrebbe essere visto come una caratteristica normale. Ad esempio, negli Stati Uniti l’iperattività nei bambini viene spesso trattata con farmaci, mentre in altre culture si tende a gestirla con strategie educative.
Tale ambiguità rende difficile stabilire un confine netto tra ciò che è un intervento medico appropriato e ciò che, invece, rappresenta un eccesso. Tuttavia, ci sono due elementi che emergono con chiarezza: la disinformazione correlata al fatto che molti pazienti ricevono informazioni parziali o errate dai media o da fonti non verificate, portandoli a richiedere cure non necessarie, e interventi inutili, come esami o trattamenti spesso effettuati senza una reale indicazione clinica, più per precauzione o per rispondere alle pressioni del paziente che per reale bisogno.
Perché è importante parlarne?
La (sovra)medicalizzazione non solo riguarda il singolo paziente, ma ha conseguenze più ampie. Infatti può comportare rischi per la salute, in quanto trattamenti inutili possono causare effetti collaterali, mentre esami ripetuti possono generare ansia e falsi positivi. Inoltre, incide negativamente sulla spesa sanitaria, in quanto risorse utilizzate per curare condizioni minori vengono sottratte a pazienti che ne hanno realmente bisogno. Assistiamo ad una riduzione della consapevolezza individuale: le persone diventano sempre più dipendenti dalla medicina, per affrontare problemi che potrebbero essere gestiti in modo autonomo o con interventi non medici.
Porsi il problema della (sovra)medicalizzazione significa riflettere sul ruolo della medicina nella nostra società e trovare un equilibrio tra l’attenzione alla salute e il rispetto per la normalità delle esperienze umane. Non ogni sintomo è una malattia e, a volte, la migliore cura è semplicemente il tempo e la comprensione.
La posizione della classe medica sulla (sovra)medicalizzazione.
Il medico di base si trova in una posizione privilegiata, ma anche delicata: rappresenta il primo punto di contatto tra il paziente e il sistema sanitario: vive direttamente le aspettative, le ansie e le richieste di cure dei propri assistiti. Svolge un ruolo chiave, ma allo stesso tempo complesso: deve bilanciare il desiderio di aiutare i pazienti con la necessità di evitare trattamenti o diagnosi eccessive che potrebbero non essere realmente utili.
Un aspetto importante da considerare è il costante dilemma tra fare troppo, vale a dire prescrivere farmaci o ordinare esami per tranquillizzare i pazienti, anche quando i sintomi non giustificano interventi, oppure, fare troppo poco evitando, per esempio, test o terapie che, in rari casi, potrebbero trascurare un problema di salute che diventerà più grave in futuro. Il medico è consapevole che l’eccesso di interventi può portare a effetti collaterali, diagnosi inutili o ansie ingiustificate, ma allo stesso tempo, sa che il paziente si aspetta risposte e, a volte, soluzioni rapide per problemi che possono sembrare gravi, anche se non lo sono.
Uno degli strumenti più potenti per affrontare la (sovra)medicalizzazione è la comunicazione. Spiegare ai pazienti perché un esame non è necessario o perché una terapia può essere evitata è parte del lavoro quotidiano. Tuttavia, questo richiede tempo e delicatezza. Non è sempre facile dire “no” a un pazienteansioso.Una buona relazione è il punto di partenza: se il paziente si sente ascoltato e compreso, sarà più propenso a fidarsi del medico quando questo sceglie di non intervenire con esami o farmaci.
Quali fattori influiscono sulle scelte del medico?
La (sovra)medicalizzazione non è immune da pressioni esterne di differente origine: il sistema, complesso ed interconnesso, è il risultato di un insieme di forze esterne che influenzano il modo in cui la medicina viene praticata. Queste pressioni arrivano da molteplici direzioni: dalla società, dal sistema sanitario, dall’industria farmaceutica e persino dal contesto legale. I medici di base, spesso, si trovano al centro di questo intricato sistema, cercando di rispondere alle richieste dei pazienti e di navigare tra le regole e le aspettative imposte dall’esterno.
- Pressioni sociali: La medicina come risposta a tutto. Viviamo in una società in cui la salute è percepita come un diritto assoluto, e la medicina come lo strumento per raggiungere uno stato di benessere continuo. Questo porta a una domanda crescente di interventi anche per condizioni che, in passato, sarebbero state considerate normali o parte della vita quotidiana. La cultura del “tutto e subito” fa sì che le persone cerchino soluzioni immediate per qualsiasi problema, inclusi quelli legati alla salute. La pazienza nel lasciar guarire un raffreddore o accettare che il corpo abbia tempi di recupero viene meno, e spesso si richiedono farmaci o esami con l’aspettativa di risolvere tutto in pochi giorni. In più vi è l’idealizzazione della salute perfetta, per cui la medicina non è più vista solo come uno strumento per curare le malattie, ma come un mezzo per migliorare costantemente la propria vita. L’invecchiamento, la stanchezza o il naturale decadimento fisico vengono percepiti come condizioni da combattere, alimentando la richiesta di trattamenti estetici, integratori o farmaci anti-aging. Infine, l’influenza dei media e di Internet che amplificano la percezione di malattie rare o pericoli per la salute, spingendo molte persone a richiedere esami preventivi, screening e trattamenti di cui non avrebbero realmente bisogno. La facilità di accesso a informazioni non sempre accurate porta i pazienti a fare autodiagnosi e a presentarsi dal medico con richieste specifiche, basate su ciò che hanno letto online.
- Pressioni del Sistema Sanitario: Burocrazia e protocolli. Il Sistema Sanitario stesso contribuisce alla (sovra)medicalizzazione attraverso meccanismi burocratici e organizzativi che incentivano interventi eccessivi o non necessari. Tra questi, i pagamenti a prestazione per cui, in molti sistemi sanitari, medici e strutture ospedaliere vengono pagati in base al numero di visite, esami o interventi eseguiti. Questo crea un incentivo economico a moltiplicare le prestazioni, anche quando non strettamente necessarie.
La raccomandazione di seguire protocolli rigidi e linee guida, strumenti indispensabili per garantire standard di cura, portano i medici a seguire percorsi diagnostici anche in situazioni in cui la propria esperienza clinica suggerirebbe un approccio più cauto. La paura di “deviare” dai protocolli spinge a prescrivere esami o terapie per evitare complicazioni burocratiche. Inoltre, il medico di famiglia ha spesso pochi minuti per ogni visita, e la carenza di tempo fa sì che si adottino soluzioni rapide: prescrivere un farmaco o un esame è più veloce rispetto a spiegare perché non è necessario.
- Pressioni legali. Altra pressione significativa proviene dal timore di azioni legali. I medici sono sempre più consapevoli del rischio di essere denunciati per negligenza o errori diagnostici. Questo porta a una pratica di medicina difensiva, ovvero la tendenza a prescrivere test e trattamenti per evitare cause legali, piuttosto che per reale necessità clinica. La paura del “….e se poi?” fa sì che vengano prescritti esami approfonditi per proteggersi da potenziali accuse anche quando la probabilità di malattia grave è minima.
- Pressioni economiche e industriali. L’industria farmaceutica e quella tecnologica giocano un ruolo determinante nella (sovra)medicalizzazione. Attraverso campagne di marketing, promuovono farmaci e dispositivi anche per condizioni minori, contribuendo a creare una domanda crescente di trattamenti.Oggi abbiamo raggiunto la medicalizzazione del disagio quotidiano: farmaci per l’insonnia, integratori per la concentrazione o trattamenti per lievi disturbi gastrointestinali vengono presentati come soluzioni indispensabili. A ciò si aggiungono nuove tecnologie diagnostiche che, sebbene utili, incentivano l’uso eccessivo di esami. Scansioni avanzate o test genetici sono accessibili a un numero sempre maggiore di persone, portando a diagnosi di condizioni che non avrebbero mai causato problemi.
In sintesi, pressioni esterne che alimentano la (sovra)medicalizzazione sono molteplici e complesse. Società, sistema sanitario, industria e dinamiche legali creano un ambiente in cui l’approccio medico tende sempre più verso l’intervento, anche quando non strettamente necessario. Per affrontare questo fenomeno è necessario un cambio culturale, in cui medici e pazienti riscoprano il valore dell’attesa, della prevenzione e della comprensione del proprio corpo come qualcosa che, spesso, può guarire spontaneamente.
Riferimenti
Michaël Cordey et al. Ordinary defensive medicine: in the shadows of general practitioners’ postures toward (over-) medicalisation. Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine, 16 July 2024. doi: 10.1186/s13010-024-00160-0. https://peh-med.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13010-024-00160-0
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