Long COVID. Di che si tratta?
Disabilità e malattie croniche rappresentano la futura sfida sanitaria globale.
Tra le condizioni destinate ad avere un grande impatto su individui, famiglie, società e Servizi Sanitari vi è la sindrome post COVID-19, nota anche come Long COVID. Ad oggi non esiste una chiara definizione in quanto, a livello globale, manca un sistema di raccolta di informazioni sui sintomi che caratterizzano lo strascico della malattia.
Una recente revisione sistematica segnala che nel 57% dei ricoverati in Ospedale per COVID-19 sono presenti sintomi che persistono sino a 3-6 mesi dalla fase acuta, e che tale valore scende al 26% in soggetti non ospedalizzati. Dalla revisione emerge che le evidenze sullo spettro clinico di Long COVID sono limitate, basate su dati molto eterogenei, e che è necessaria cautela per interpretare e generalizzare i risultati.
In conclusione, per caratterizzare meglio la sindrome e definire l’eziologia, dovrebbero esser presi in considerazione popolazioni differenti, fattori di rischio, specifici marker biochimici, varianti problematiche ed esiti nel lungo termine delle vaccinazioni.
OMS ha sviluppato una definizione della sindrome post COVID-19, insieme a pazienti, ricercatori e rappresentanti di differenti Paesi; segnala peraltro la consapevolezza che tale definizione potrebbe cambiare man mano che emergono nuove prove ed evolvono le conoscenze sugli esiti della malattia.
“La condizione post COVID-19 si verifica in individui con storia di infezione da SARS CoV-2 probabile o confermata, di solito a 3 mesi dall’insorgenza di COVID-19, con sintomi che persistono per almeno 2 mesi e non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa. I sintomi più comuni comprendono affaticamento, mancanza di respiro, disfunzione cognitiva, ma anche altri: in genere hanno un forte impatto sulla vita di ogni giorno. I sintomi possono essere di nuova insorgenza, dopo il recupero iniziale da un episodio acuto di COVID-19, o essere in continuità con la malattia; inoltre, possono fluttuare o ricomparire nel tempo”.
Perché Long COVID può essere un problema?
Per quanto i sintomi principali della Sindrome siano caratteristici (grave affaticamento dopo sforzo, mancanza di respiro, tachicardia, disturbi cognitivi, deficit e disautonomia), tuttavia l’assenza di criteri diagnostici specifici fa sì che medici e pazienti possano vivere in una sostanziale incertezza. Vi è il rischio che il paziente sia sottoposto ad indagini eccessive e sovra-trattato o, all’opposto, possa non ricevere un supporto adeguato. E’ possibile che in futuro Long COVID si configuri come un’epidemia nascosta, con conseguenti problemi nell’accesso alle cure; per l’incertezza sui criteri diagnostici, di diverso peso tra Paesi ad alto e basso reddito, vi è il rischio della sottovalutazione dei sintomi da parte del medico, con conseguenti problemi per il paziente che potrebbe non ricevere assistenza sanitaria specifica a causa del mancato riconoscimento della sindrome.
Quali fattori rendono difficile il riconoscimento e la gestione della sindrome?
Ciò che è emerso dai dati di Paesi ad alto reddito è che i sintomi di Long COVID possono verificarsi indipendentemente dalla gravità della malattia iniziale: prevalgono nelle donne, in adulti di mezza età, in anziani e in soggetti con malattie preesistenti. La fisiopatologia non è chiarita; probabilmente sono in causa diversi meccanismi a spiegare l’eterogeneità dei sintomi. Tra quelli possibili: la persistenza virale, fenomeni di autoimmunità, risposte umorali aberranti da parte di linfociti T e presenza di microtrombi. Comprendere meccanismi e storia naturale di Long COVID è il punto di partenza per definire strategie diagnostico-terapeutiche mirate. Ad oggi nessun antivirale o immunomodulante si è dimostrato efficace; in alcune persone la vaccinazione potrebbe incidere favorevolmente sui sintomi, a causa di un possibile ruolo legato alla persistenza del virus nell’organismo o a frammenti di virus circolanti, o ad ambedue le cause.
La pandemia ha evidenziato l’importanza e la necessità di poter disporre di una piattaforma multicentrica per ricerche sulla gestione della malattia, che comprenda anche Centri che operano in contesti con differenti risorse. Nel breve termine, per una sindrome così eterogena sarebbe più prudente valutare l’efficacia di terapie mirate a risolvere i sintomi più rappresentati (astemia, mancanza di respiro, disfunzione cognitiva), più che perseguire la ricerca di un trattamento “unico”, anche se preferito dal paziente
Che fare?
Soggetti con Long COVID dovrebbero essere a carico del medico di medicina generale che, a sua volta, deve poter accedere a strumenti diagnostici e a consulenze multidisciplinari: il tutto a livello di Servizi territoriali decentralizzati, più sostenibili in un mondo con COVID- 19 endemico. Come per le malattie croniche, sono cruciali un approccio olistico e un piano di riabilitazione individualizzato. E’ inoltre auspicabile che siano disponibili risorse online affidabili, al fine di garantire che ricercatori, medici e pazienti siano costantemente aggiornati su di una condizione in rapida evoluzione.
Quanto sopra deve attuarsi anche a livello di Paesi a basso e medio reddito. COVID- 19 ha infatti esacerbato le disuguaglianze, creato nuove vulnerabilità e amplificato inequità già esistenti. In Paesi con Sistemi Sanitari inadeguati a rispondere alle esigenze di salute, è molto probabile che Long COVID rimanga un problema nascosto.
Tuttavia, poiché si tratta di Salute Pubblica, la sorveglianza a livello globale deve essere considerata prioritaria: registri nazionali, denunce di infezioni, casi cronicizzati, ospedalizzazioni e morti devono esser resi noti. Partnership multinazionali sono necessarie per valutare diagnosi e terapie su basi scientifiche, e assicurare accessibilità, applicabilità e adattabilità a diversi Sistemi Sanitari, anche in contesti a risorse limitate. Un tale sforzo dovrebbe portare ad una migliore comprensione della fisiopatologia e della cura, a vantaggio dei milioni di persone che a livello globale vivono tale condizione.
Riferimenti
Ward H. et al. Global surveillance, research, and collaboration needed to improve understanding and management of long COVID. The Lancet November 10, 2021 DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(21)02444-2 https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)02444-2/fulltext
Michelen M. et al. Characterizing long COVID: a living systematic review. BMJ Global Health 2021;6:e005427. doi:10.1136/bmjgh-2021-005427. https://gh.bmj.com/content/6/9/e005427
WHO. A clinical case definition of post COVID-19 condition by a Delphi consensus. Oct 6, 2021. World Health Organization, Geneva2021. https://www.who.int/publications/i/item/WHO-2019-nCoV-Post_COVID-19_condition-Clinical_case_definition-2021.1