A partire dall’11 marzo, data in cui OMS ha confermato l’esistenza di pandemia da SARS-CoV-2, in tutto il mondo sono state infettate 20 milioni di persone con un tasso di mortalità globale del 3,5 %. La malattia si presenta con sintomi di gravità variabile: alcuni soggetti possono essere del tutto asintomatici, altri presentare una grave insufficienza respiratoria, non raramente ad esito infausto.
Sin dall’inizio si è cercato di capire quali fossero i fattori responsabili della gravità di COVID-19. I report di Cina e Italia, primi Paesi colpiti, evidenziavano tra i fattori critici l’età avanzata, malattie autoimmuni, ipertensione e malattia coronarica. Quando la pandemia ha raggiunto gli Stati Uniti, è subito emerso come l’obesità fosse tra i fattori di rischio più importanti, e come vi fosse una stretta associazione tra obesità e ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e mortalità.
Nello studio di Tartof e coll. sono state esaminate retrospettivamente le cartelle cliniche di 5652 pazienti che avevano come esito primario la morte entro 3 settimane dalla diagnosi. Si è rilevato che
- Soggetti con BMI > 40 kg / m2 avevano tassi di mortalità complessivamente più elevati
- Soggetti con BMI > 45 kg / m2 avevano un rischio di morte (risk ratio) di 4,18
- In soggetti di età inferiore a 60 anni, risk ratio risultava ancora più elevato (12-17)
- Un elevato BMI rappresenta un maggior rischio per l’uomo più che per la donna.
In un secondo studio, comprendente 2466 pazienti con degenza media ospedaliera di 47 giorni, Anderson e coll. hanno scoperto che
- Soggetti di età < 65 anni e con BMI > 40 kg / m2 hanno un rischio di intubazione 2 volte maggiore
- In soggetti più anziani, BMI non rappresenta più un fattore di rischio significativo.
L’obesità risulta pertanto fattore di rischio indipendente per COVID-19 grave: il fatto che a “pagare” di più siano pazienti giovani, non dipenderebbe tanto dall’obesità quanto invece dalla concomitanza di fattori di rischio i cui effetti si rendono evidenti con il progredire dell’età. Inoltre, il maggior coinvolgimento del sesso maschile, rispetto a quello femminile, potrebbe dipendere dalla maggiore adiposità viscerale; questo tessuto produce elevata quantità di marker infiammatori, adipochine proinfiammatorie e protrombotiche, elementi che entrano in gioco anche nella patogenesi di malattie metaboliche e vascolari. In effetti, in soggetti con COVID-19 sono presenti condizioni che si ritrovano nelle patologie citate: difetto ventilatorio restrittivo e apnea notturna; diabete e displipidemia; disfunzione immunitaria con incremento di segnali proinfiammatori (TNF, IL6, leptina, etc.) e riduzione di risposta antinfiammatoria; disfunzione degli endoteli e stimolazione del sistema renina – angiotensina, con incremento pressorio; peggioramento della flogosi polmonare e danno alveolare.
Che fare? La riduzione del peso è difficile, e certamente non si ottiene rapidamente. E’ necessario che ogni Paese potenzi politiche che sensibilizzino la popolazione sugli effetti negativi correlati all’obesità. Nel frattempo, per il controllo dell’epidemia gli interventi più efficaci, e certamente più fattibili, rimangono l’allontanamento sociale e l’uso della mascherina.
Riferimenti
Kass DA. COVID-19 and Severe Obesity: A Big Problem? Ann Intern Med. 2020 Aug 12; doi/10.7326/M20-5677
Tartof SY, et all. Obesity and Mortality Among Patients Diagnosed With COVID-19: Results From an Integrated Health Care Organization. Ann Intern Med. 2020 Aug 12. doi: 10.7326/M20-3742.
Anderson MR, et al. Body mass index and risk for intubation or death in SARS-CoV-2 infection. A retrospective cohort study. Ann Intern Med. 29 July 2020. Ann Intern Med. 2020 Jul 29; doi: 10.7326/M20-3214