Protezione da SARS-CoV-2. A che punto siamo?


Il problema

Al 1° giugno 2022 la pandemia di COVID-19 aveva causato circa 17,2 milioni di morti totali, e circa 7,63 miliardi di infezioni totali e reinfezioni. Gran parte di queste si è verificata dopo il 14 novembre 2022: si stima che 3,8 miliardi di persone (46% della popolazione mondiale) siano stati infettati dalla variante Omicron e dalle sue sottovarianti.

Con rigidi mandati di distanziamento fisico, sempre più sgraditi sia alle popolazioni che ai politici, l’onere futuro di COVID-19 dipenderà in gran parte dalla copertura dei vaccini e dalla loro corrispondente efficacia, dal livello di protezione offerto da coloro che sono stati precedentemente infettati da una qualsiasi delle varianti di SARS-CoV-2, dal ruolo dei farmaci antivirali per evitare ricoveri e decessi per COVID-19, e dalla trasmissibilità e gravità delle varianti circolanti.

Comprendere le caratteristiche della protezione da infezioni passate è necessario per progettare politiche sulla tempistica delle dosi di richiamo del vaccino e su mandati che impongono uso della maschera, restrizioni di viaggi o accesso a luoghi in cui il rischio di trasmissione è elevato, come ristoranti, palestre, luoghi chiusi sede di grandi raduni. Ad un certo punto durante la pandemia, quasi tutti i Governi hanno permesso l’accesso a tali luoghi solo a soggetti completamente vaccinati o con recente test negativo. Datori di lavoro e Governi hanno anche imposto la vaccinazione ad alcune classi di lavoratori, in particolare a coloro   che lavorano a contatto con popolazioni vulnerabili. Non sempre si è dato peso al fatto che una persona avesse superato l’infezione: negli USA, a soggetti non vaccinati ma con infezione passata documentata, non era permesso entrare nel Paese, mentre in Europa il certificato COVID ha considerato alla stessa stregua l’infezione documentata negli ultimi 180 giorni e la vaccinazione completa con ultima dose di vaccino (dose di richiamo) somministrata tra 14 giorni e 270 giorni.

Per approfondire quale potesse essere il ruolo protettivo svolto da una precedente infezione, COVID-19 Forecasting Team ha effettuato una revisione sistematica della letteratura, analizzando studi di coorte retrospettivi, prospettici e studi caso controllo pubblicati da inizio pandemia sino al 31 settembre 2022; l’obiettivo era stimare quale potesse essere la riduzione del rischio di contrarre COVID 19 tra persone con pregressa infezione da SARS-CoV-2 rispetto a persone senza precedente infezione.

Quali sono stati i risultati?

Tra tutti gli studi pubblicati ne sono stati selezionati 65, redatti in 19 diversi Paesi (Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cechia, Danimarca, Francia, India, Italia, Paesi Bassi, Nicaragua, Norvegia, Qatar, Scozia, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti). E’ emerso che

  • la protezione indotta dall’infezione pregressa è elevata per le varianti ancestrali, alfa, beta e delta, ma sostanzialmente inferiore per la variante omicron BA.1. Nei confronti di tale variante l’efficacia è risultata del 45,3% contro la re- infezione, e del 44% contro la malattia sintomatica
  • Per tutte le varianti (incluso Omicron BA.1), l’efficacia risulta superiore al 78% contro la malattia grave
  • La protezione dalla reinfezione da varianti ancestrali, alfa e delta, diminuisce nel tempo, ma rimane al 78% a 40 settimane
  • La protezione dalla reinfezione da parte di Omicron BA. 1 diminuisce più rapidamente ed è stata stimata al 36% a 40 settimane
  • Dopo 40 settimane, la protezione contro la malattia grave (ospedalizzazione e decesso) persiste elevata per tutte le varianti, con il 90,2% per quelle ancestrali, alfa e delta, e l’88,9% per Omicron BA.1.

Quali saranno le implicazioni future?

L’onere potenziale di COVID-19 dipende dalla suscettibilità della popolazione all’infezione e alla malattia sintomatica. La suscettibilità, a sua volta, è funzione di tre driver principali

  • La copertura vaccinale della popolazione
  • L’efficacia vaccinale
  • La protezione offerta da chi è stato in precedenza infettato. 

Prima di tale revisione numerosi studi avevano documentato l’efficacia dell’infezione pregressa nel prevenire la reinfezione e la successiva malattia, sia sintomatica che grave (ospedalizzazione o morte), compreso il trend con cui l’immunità si esaurisce nel tempo. Tuttavia non esistevano studi che valutassero in modo completo il livello di protezione per tipo di variante e, cosa più importante, la misura con cui l’immunità da infezioni pregresse diminuisce nel tempo.

Il valore aggiunto di questo studio è proprio questo. Emerge che per varianti ancestrali, alfa e delta, si è protetti sia dalla reinfezione che dagli esiti, che tale protezione è ridotta per la Variante Omicron BA.1 ma che il livello di protezione contro la malattia grave resta elevato nel tempo. Infine, il livello di protezione offerto da una precedente infezione è almeno altrettanto elevato, se non superiore, a quello fornito dalla vaccinazione a due dosi con vaccinazione di alta qualità (Vaccini a mRNA, Moderna e Pfizer-BioNTech).

I risultati dello studio hanno diverse importanti implicazioni, anche dal punto di vista politico. Si sottolineano 4 punti

  • Per monitorare il rischio di un futuro carico di COVID-19, è essenziale tenere traccia dei tassi di infezione passati e del trend temporale per le differenti varianti. Continuerà ad essere un aspetto importante della gestione della trasmissione attuale e futura di COVID-19 il mantenere sistemi di sorveglianza che traccino le infezioni e l’emergenza legata a diffusione di nuove varianti (ad esempio, in Inghilterra, il valutare in tempo reale la trasmissione comunitaria si è dimostrato uno strumento efficace per monitorare diffusione ed emergenza varianti)
  • Le restrizioni di movimento e di accesso ai diversi luoghi, basate sullo stato immunitario e sull’obbligatorietà della vaccinazione dei lavoratori, dovrebbero tenere conto dell’immunità conferita dalla vaccinazione e di quella fornita dall’infezione naturale. I differenti Paesi hanno adottato approcci diversi su questo punto: l’immunità da infezioni pregresse è stata presa in considerazione nei certificati di idoneità vaccinale dei Paesi EU, ma non in quelli di Stati Uniti e Australia
  • La protezione offerta da una pregressa infezione dovrebbe essere considerata nelle linee guida sulla tempistica di somministrazione di successive dosi di vaccino 
  • Con l’emergere di nuove varianti, come evidenziato per Omicron, sono necessari studi epidemiologici tempestivi e ben condotti per comprendere la protezione offerta sia dalla vaccinazione che dall’infezione pregressa. Quest’ultimo aspetto è tuttavia di difficile valutazione in rapporto al numero limitato di persone non vaccinate e naive a COVID-19 della maggior parte dei Paesi: si dovrebbero infatti confrontare gli esiti osservati in individui non vaccinati e precedentemente infetti con soggetti non vaccinati e naive a COVID-19. Purtroppo (o per fortuna) ad oggi il numero di studi sull’efficacia del vaccino supera di gran lunga il numero di studi sulla protezione indotta dall’infezione naturale.

Riferimenti

COVID-19 Forecasting Team.  Past SARS-CoV-2 infection protection against re-infection: a systematic review and meta-analysis. Lancet, February 16, 2023.  https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)02465-5 https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(22)02465-5/fulltext

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