Di fronte al fenomeno della (sovra)medicalizzazione, i medici di base non restano spettatori passivi. Anzi, molti di loro riflettono su come migliorare la propria pratica quotidiana per evitare esami, diagnosi e trattamenti inutili, mettendo al centro il benessere del paziente. Le proposte per ridurre la medicalizzazione eccessiva si concentrano su comunicazione più efficace con i pazienti, uso consapevole delle prove scientifiche, valorizzazione delle competenze cliniche e maggiore coinvolgimento in attività formative e di sensibilizzazione. Non ultima è la proposta di adottare nella pratica quotidiana un approccio riflessivo.
- Rafforzare la comunicazione con i pazienti è uno degli strumenti più potenti per limitare la (sovra)medicalizzazione: molti medici sottolineano che una buona relazione, basata sull’ascolto e sulla fiducia, può fare la differenza.Spesso i pazienti si rivolgono al medico non tanto per ricevere una cura immediata, ma per essere ascoltati e rassicurati. Quando il medico cerca di comprendere le reali preoccupazioni del paziente, o investe tempo nell’educazione sanitaria, aiutando a distinguere i sintomi che richiedono attenzione da quelli che si risolvono spontaneamente, diventa più facile spiegare perché un esame o un farmaco non sono necessari. L’obiettivo è far capire che non ogni disturbo necessita di un intervento medico immediato. La comunicazione non deve essere un monologo, ma deve coinvolgere attivamente i pazienti nel processo decisionale, presentando i pro e i contro di ogni scelta. In questo modo, si ottiene una maggior consapevolezza e responsabilizzazione sulla propria salute.
- Pilastro della comunicazione è l’uso della medicina basata sulle prove (EBM – Evidence Based Medicine). Questo approccio suggerisce di adottare linee guida scientifiche aggiornate, ma con flessibilità e attenzione al singolo paziente. Le linee guida devono essere interpretate, non applicate meccanicamente, in quanto ogni paziente è diverso e non sempre ciò che vale per la maggioranza è la scelta migliore per l’individuo. L’aver a disposizione strumenti diagnostici avanzati, offerti dalla medicina moderna, non significa debbano essere utilizzati indiscriminatamente, ma solo quando siano davvero utili per il percorso di cura.
- Valorizzare l’esperienza e le competenze cliniche. Accanto alle linee guida e alle prove scientifiche, i medici rivendicano l’importanza dell’esperienza clinica maturata nel corso degli anni. L’intuizione e la conoscenza del paziente permettono di prendere decisioni migliori rispetto a una semplice applicazione di protocolli. Molti problemi possono essere diagnosticati senza ricorrere a test invasivi, in quanto la diagnosi può esser fatta attraverso un’accurata raccolta della storia del paziente (anamnesi) e un esame fisico attento. A volte, la scelta migliore è non fare nulla e riscoprire il valore dell’attesa, monitorando i sintomi e intervenendo solo se necessario; tale approccio riduce il rischio di trattamenti superflui.
- Formazione continua. La lotta alla (sovra)medicalizzazione passa anche attraverso il coinvolgimento in attività di formazione, ricerca e sensibilizzazione. La medicina evolve rapidamente: partecipare a Corsi e Workshop aiuta a sviluppare una mentalità critica e a rimanere al passo con le ultime scoperte scientifiche. Creare gruppi di discussione o collaborare a progetti di ricerca, condividendo esperienze, può aiutare ad individuare nuove strategie anche contro la (sovra)medicalizzazione. Infine, poiché parte del problema nasce dalla percezione errata della medicina da parte del pubblico, un importante suggerimento è quello di organizzare incontri e campagne per informare i cittadini sui rischi legati a trattamenti inutili.
Le proposte per ridurre la (sovra)medicalizzazione non richiedono cambiamenti drastici, ma piuttosto il ritorno a una medicina più semplice, attenta e umana. Attraverso una comunicazione più aperta, un uso intelligente delle prove scientifiche e una valorizzazione delle competenze cliniche, si può contribuire a costruire un sistema sanitario più sostenibile e centrato sul paziente. L’obiettivo finale non è eliminare l’intervento medico, ma usarlo con maggiore consapevolezza, rispettando i tempi naturali di guarigione del corpo e riconoscendo che, a volte, il miglior trattamento è non intervenire affatto.
Approccio riflessivo nella pratica medica. Cosa significa?
Nel contesto della medicina moderna, l’approccio riflessivo si presenta come una risposta fondamentale al problema della (sovra)medicalizzazione. Tale modalità invita i medici a guardare oltre la pura dimensione tecnica del proprio lavoro, ponendo l’attenzione non solo sulle malattie, ma anche sulle vulnerabilità umane che accomunano medici e pazienti. Nella pratica quotidiana, il medico è spesso spinto ad adottare un atteggiamento difensivo. Questo modo di agire, sebbene comprensibile, può portare a un’escalation di diagnosi e cure superflue che non solo gravano sul sistema sanitario, ma rischiano di allontanare il medico dalla sua vocazione principale: prendersi cura della persona nella sua interezza.
L’approccio riflessivo suggerisce di ripensare l’incertezza non come una debolezza, ma come un terreno comune tra medico e paziente: il paziente vive l’ansia di non sapere cosa stia accadendo al proprio corpo, mentre Il medico, pur essendo un esperto, sa che non sempre esiste una risposta chiara o immediata a ogni problema di salute. Tale consapevolezza può diventare uno spazio di dialogo, dove il medico riconosce i propri limiti e sceglie di accompagnare il paziente in un percorso di cura condiviso, anziché imporsi come una figura autoritaria che “deve” avere sempre una soluzione pronta.
Adottare un approccio riflessivo vuol dire avere il coraggio di non cedere alle richieste di interventi inutili solo per compiacere il paziente o per evitare complicazioni legali. Non significa essere indifferenti o distaccati, ma spiegare, educare e coinvolgere il paziente nelle decisioni, facendo comprendere che, a volte, non intervenire è la scelta migliore.
I benefici dell’adottare un approccio riflessivo stanno nel fatto che ilpaziente non è più visto come un “caso clinico”, ma come una persona con emozioni, timori e bisogni. Ciò rafforza la relazione medico-paziente, migliorando l’aderenza ai percorsi di cura e aumentando la fiducia reciproca. Il medico impara a distinguere tra interventi realmente necessari e richieste guidate dall’ansia o dalla paura. Questo riduce il ricorso a esami e trattamenti non essenziali, liberando risorse per chi ne ha davvero bisogno. Si raggiunge una maggior soddisfazione professionale perché evitare esami inutili e concentrarsi sull’ascolto e sulla comprensione aiuta a ristabilire il senso di missione e di cura che è alla base della professione medica. Infine la riflessività permette al medico di fare pace con l’incertezza: non è più considerata una minaccia, ma è accettata come parte integrante della pratica clinica, abbandonando l’illusione di poter sempre controllare ogni variabile.
Per sviluppare un approccio riflessivo il medico deveprendersi il tempo per ascoltare davvero il paziente, andando oltre i sintomi fisici per cercar di comprendere emozioni e preoccupazioni. In quest’ottica diventa importante lo scambio di esperienze partecipando, per esempio, a gruppi di discussione o a supervisione con altri medici, riflettendo insieme su casi complessi e su scelte fatte. Infine, in programmi di formazione continua sarebbe importante che accanto ad aspetti tecnici fossero inseriti anche moduli dedicati alla comunicazione, all’etica e alla gestione dell’incertezza.
In conclusione, l’approccio riflessivo non deve essere considerato solo una tecnica, ma una filosofia che restituisce alla medicina il suo volto più umano. Riconoscere le vulnerabilità, sia proprie che dei pazienti, non diminuisce il valore del medico, ma lo rende più vicino e autentico. È in questo spazio di condivisione e di dialogo che nasce una cura più consapevole, rispettosa e, soprattutto, efficace.
In un mondo sempre più tecnologico e medicalizzato, il ritorno a una medicina riflessiva rappresenta una risposta necessaria per ristabilire equilibrio e restituire alla pratica medica il suo significato più profondo: prendersi cura, non solo curare.
Riferimenti
Michaël Cordey et al. Ordinary defensive medicine: in the shadows of general practitioners’ postures toward (over-) medicalisation. Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine, 16 July 2024. doi: 10.1186/s13010-024-00160-0. https://peh-med.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13010-024-00160-0
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