Che cosa sono gli anticorpi, e qual è il loro ruolo nell’infezione da SARS-CoV-2?
Gli anticorpi sono proteine che caratterizzano la risposta immunitaria indotta da un’infezione: possono essere misurati nel sangue, indicando in modo sensibile e specifico se l’infezione è recente oppure si è verificata in passato. Nel caso di nuova esposizione ad un patogeno, gli anticorpi possono bloccare la comparsa di infezione se presenti nel sangue a tassi sufficientemente elevati. Gli anticorpi sono un marcatore “persistente” di infezione, a differenza della ricerca diretta del patogeno, rilevabile solo “transitoriamente” nelle sedi dove si replica e si diffonde; è proprio per tale motivo che possono fornire informazioni importanti sui tassi di infezione della popolazione.
Nel caso di SARS-CoV-2, la ricerca diretta del RNA virale permette di fare diagnosi di infezione, ma non di monitorare la diffusione del virus a livello di popolazione, in quanto il virus è presente in modo transitorio nei soggetti contagiati. Per contro, l’accurata valutazione degli anticorpi in corso di pandemia può fornire importanti dati sull’ esposizione della popolazione al virus, chiarire il ruolo degli anticorpi nell’immunità protettiva e guidare la risposta ai vaccini.
Ad oggi, che cosa è noto sul ruolo degli anticorpi nel corso dell’infezione da SARS-CoV-2?
E’ stato condotto uno studio In Islanda su circa 30.000 persone (il 15% della popolazione) con infezione da SARS-CoV-2. Si è ricercata la presenza sia del virus (PCR RNA virale) che degli anticorpi.
Si è osservato che:
- Il dosaggio degli anticorpi riesce ad identificare un maggior numero di infezioni: infatti, solo il 56% delle persone anticorpo-positive era anche positivo per l’RNA virale
- Un terzo delle infezioni è stato rilevato in persone asintomatiche
- Il rischio di mortalità per COVID-19 corrisponde allo 0,3%
- Elevati livelli anticorpali sono presenti in anziani e in persone ricoverate
- Bassi livelli anticorpali sono presenti in fumatori e in donne con malattia modesta/lieve
- Il tasso anticorpale è stabile nei 4 mesi successivi alla diagnosi di COVID-19.
Come vanno interpretati i risultati dello studio Islandese?
Infezioni (e vaccino) generano due ondate di anticorpi: la prima, di breve durata, si risolve con la fase acuta ed è provocata da plasmacellule di breve emivita, pronte a popolare la circolazione sistemica appena si verifica l’infezione. La seconda ondata è generata da plasmacellule a lunga emivita, che forniscono immunità più “persistente” anche se a tassi inferiori a quelli della fase acuta. In pratica, nella fase corrispondente all’infezione acuta si verificherebbe un aumento e un decadimento precoce degli anticorpi; tuttavia, grazie alla presenza di plasmacellule a lunga emivita, la perdita di anticorpi si riduce, con il risultato di una immunità stabile nei 4 mesi successivi all’infezione.
Lo studio ha coinvolto una popolazione omogenea, proveniente in gran parte da un’unica origine etnica e da un’unica regione geografica. Pertanto, saranno necessari futuri studi longitudinali per definire più accuratamente l’emivita degli anticorpi indotti da SARS-CoV-2. Detto questo, lo studio:
- Fornisce la speranza che l’immunità nei confronti di questo imprevedibile e contagioso virus non sia fugace e possa essere simile a quello suscitata dalla maggior parte delle altre infezioni virali
- Conferma la maggior utilità del test anticorpale rispetto alla ricerca diretta del RNA virale in indagini di sorveglianza a livello di popolazione, specie quando si debbano riaprire in sicurezza scuole o città
- Fornisce le basi per comprendere meglio la risposta anticorpale indotta da vaccini che dovrebbero porre fine alla pandemia.
Riferimenti
Gudbjartsson DF et al. Humoral Immune Response to SARS-CoV-2 in Iceland. N Engl J Med Sep 1, 2020. DOI: 10.1056/NEJMoa2026116
Alter G et al. The Power of Antibody-Based Surveillance. N Engl J Med Sep 1, 2020.
DOI: 10.1056/NEJMe2028079