COVID-19 è una malattia prevalentemente autolimitantesi, in cui il 20% circa dei soggetti sintomatici può manifestare complicanze gravi quali polmonite, sindrome da distress respiratorio acuto, insufficienza multiorgano, ipercoagulazione. Inoltre, è sempre più frequente la segnalazione di pazienti, anche con sintomi lievi, che possono avere decorso prolungato caratterizzato da astenia, deficit cognitivo e disfunzione cardiopolmonare.
Sono oggi disponibili opzioni di trattamento per i pazienti ospedalizzati; per contro, non abbiamo armi per trattare la malattia in fase precoce al fine di impedirne la progressione. Benefici della terapia precoce comprendono: esito clinico più favorevole, ridotta ospedalizzazione e, nel lungo termine, prevenzione delle conseguenze croniche dell’infezione e della diffusione del contagio. Trattamento ambulatoriale e vaccino efficace sono le armi con cui si può pensare di porre fine alla pandemia.
In pazienti ospedalizzati, remdesivir e desametazone si sono dimostrati molto efficaci, ma la loro utilità in terapia domiciliare è tutta da verificare. Remdesivir deve essere somministrato in infusione per almeno 10 giorni, procedura non facilmente realizzabile al domicilio, e desametazone , peraltro mai testato in forme lievi e in fase precoce, possiede effetti immunosoppressivi che potrebbero favorire il peggioramento clinico. Si ricorda che la terapia domiciliare deve prevedere impiego di farmaci facilmente dosabili e somministrazione semplice, e garantire l’assenza di eventi avversi.
Per la terapia in fase precoce di COVID-19 sono attualmente in fase di sperimentazione i seguenti farmaci:
- Molnupiravir, inibitore ribonucleosidico da somministrare per via orale, originariamente sviluppato per il trattamento dell’influenza
- Interferone-β1a, in formulazione per spray nasale, utilizzato per il trattamento di infezioni virali in soggetti con bronco-pneumopatia cronica ostruttiva
- Camostato mesilato, inibitore della serina-proteasi, approvato per il trattamento della pancreatite cronica e postoperatoria e per l’esofagite da reflusso, il cui effetto sarebbe quello di bloccare/ridurre la diffusione del virus a livello delle cellule polmonari
- Inibitori del fattore X a e altri anticoagulanti, per la prevenzione di complicanze tromboemboliche
- Anticorpi anti SARS-CoV-2, provenienti da plasma di convalescente o sotto forma di γ globuline iperimmuni o di anticorpi monoclonali.
Per tutti questi composti si stanno sperimentando vie di somministrazione alternative (inalazione, via sottocutanea e intramuscolare) che ne permettano l’impiego domiciliare.
Dall’esperienza maturata con la terapia dell’infezione da HIV e dell’epatite C, anche per COVID-19 potrebbe rendersi necessario ricorrere all’associazione di più farmaci, nell’ottica di bloccare più efficacemente la replicazione virale e di evitare la comparsa di resistenze.
Le attuali linee di ricerca su farmaci per la terapia precoce fanno ben sperare, e avranno un forte impatto in sanità pubblica; si stanno costruendo partenariati pubblico – privato nell’ottica di velocizzarne lo sviluppo e si stanno utilizzando protocolli di ricerca (sia per immunomodulanti che per antivirali) che, in base alla risposta clinica del paziente, prevedono il passaggio dalla fase 2 alla fase 3 senza soluzione di continuità.
Ovviamente, per realizzare tutto questo è necessario un grande impegno da parte di tutti gli attori coinvolti: aziende farmaceutiche, scienziati, esperti in trial clinici e volontari.
Evitare l’ospedalizzazione e le sequele croniche di COVID-19 faciliterà il recupero del sistema sanitario e di altre istituzioni attualmente in grande stress per l’epidemia. Inoltre, un’efficace terapia in fase precoce colmerà il vuoto lasciato dall’inadeguata attività di prevenzione, oltre ad impedire la diffusione del contagio. Segni incoraggianti sono all’orizzonte, si tratta di sforzi che meritano pieno sostegno da parte della comunità medica e del pubblico.
Riferimenti
Kim PS et al. Therapy for Early COVID-19 A Critical Need. JAMA, November 11, 2020.